La visita blu-finale
La visita blu-finale-racconto di G. Fassari
Il dottore aggrediva il mondo materializzandolo nella mano destra chiusa in un pugno rigido. Si curvò più volte ansimando e dando forti colpi di tosse; riusciva lo stesso a parlare seppure su toni più bassi e con brevi momenti di afonia in cui diventava scuro in volto per lo sforzo.
Mi chiedevo se stessi sognando, se vivessi un incubo, ma tutto era troppo chiaro, i discorsi troppo lineari. Sentivo che qualcosa di grave stava accadendo.
Il dottore mi fece cenno di seguirlo nella parte vuota della sala e mi indicò un computer.
“Vede?” disse con tono sereno. “Nella memoria di questo computer sono registrati i dati di tutti i miei mille pazienti. Al momento circa il 70% è passato dal mio studio e sottoposto al trattamento; alcune invece, sono ancora qui in attesa di iniziarlo, la maggior parte, per lo più i giovani, è fuori, conduce una vita normale, sebbene con un leggero invecchiamento di dieci-quindici anni. Gli ultraottantenni trattati invece sono per lo più deceduti, anche se hanno vissuto due-tre mesi di autentica vita giovanile: Anche il problema dello smaltimento dei loro corpi è stato facilmente risolto poiché, come ha visto, con la morte si disfanno in tempi rapidissimi come se i tessuti, spinti a prestazioni superiori alle proprie possibilità, si liquefacessero. E poi sa, per ovviare allo sgradevole puzzo della putrefazione, li tratto con una buona dose d’olio di fegato di merluzzo…”.
Riequilibrare
Non sapevo che fare.
“Ecco, vede”, e dicendo questo accese il computer, “ho elaborato un programma che mi permette di sapere, rispetto al mio trattamento riequilibratore istantaneamente, quali sono i migliori accoppiamenti, i travasi osmotici possibili tra i miei pazienti. Il computer va a scovare con quale soggetto lei idealmente potrebbe attivare un trattamento. Guardi, qui ho richiamato il suo nome” disse puntando l’indice contro il monitor. “Tra pochi attimi ci sarà indicato il compagno ideale”.

Non capivo le intenzioni del dottor De Vita, erano passate almeno due ore da quando ero entrato nello studio e lui continuava a farmi da assurdo cicerone in un viaggio folle.
Accanto al mio nome sullo schermo, intermittente, ne apparve un altro, era il nome del dottor De Vita.
Provai un vago senso di orrore.
“Mi devo svegliare!” implorai a me stesso.
In quel momento da una porta laterale della sala, che non avevo notato, uscirono alcuni vecchi, che mi afferrarono per braccia e gambe; mi divincolai, sferrai calci e pugni ma erano numerosi e forti. Dovetti cedere.
Mi lasciai andare a terra, esausto. Ero madido di sudore.
Giacevo pancia a terra con polsi e caviglie legati. Sentii un bruciore al gomito, un ago che mi entrava nel braccio. Mi facevano un’iniezione e mi sentii svenire.
La luce
Mi risvegliai lentamente, la luce mi dava fastidio, tutti i muscoli mi facevano male.
Quando aprii bene gli occhi, ero su un letto della sala blu. Mi sentivo debole e stanco, mi girai sul fianco e, accanto a me, stava il dottore. Mi guardava con espressione intontita ma contenta.
“Tutto è andato bene, più che bene, giovane amico mio” mormorò il dottore. “Era da tanto che l’attendevo nel mio studio, da quando il computer aveva stabilito la nostra affinità. Tra un’ora lei sarà libero, si sentirà meno forte di quando è arrivato qua, ma enormemente più equilibrato, dovrà lasciare lo sport ma conoscerà molte più cose della vita, compresa un po’ di medicina. Lei sembrerà un po’, come dire, più stanco, ma si abituerà presto. Il trattamento è stato completato e lei mi darà mesi e mesi di nuova giovinezza. Le sono enormemente grato…”.
Chiuse gli occhi in un’espressione di quasi beatitudine.
Difficile spiegare cosa provavo, angoscia, paura e incredulità verso qualcosa fuori dalle dinamiche convenzionali. Di sicuro appena che uscito da lì sarei andato alla Polizia a denunciare quel folle.
Appena mi fu possibile, mi alzai e mi diressi verso il bagno, provavo un senso di dolorosa pienezza alla vescica.
Notai la grande fatica nel muovermi e lo scricchiolio delle giunture e un forte mal di gola. Feci una pipì scurissima che mi fece pensare a chissà quali porcherie, il dottore mi aveva somministrato.
Mi osservai in uno specchio e vidi che avevo tantissimi capelli bianchi e tante rughe sulla fronte e agli angoli esterni degli occhi. Vomitai, vomitai… Avevo una grande voglia di scappare il più lontano possibile da quel luogo, così mi diressi verso la saletta e quindi verso d’uscita. Non c’era anima viva, solo quel maledetto puzzo di pesce.
Mi ritrovai in strada. Era buio fitto: il buio di una notte particolare. Avevo la notte nella testa.
Erano forse passate otto-dieci ore da quando ero entrato dal dottor De Vita per quello strano fastidio all’orecchio e mi sentivo come se in quel lasso di tempo fossi invecchiato di vent’anni.
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