Lo specchio di una bella decaduta
La bella decaduta-racconto di G. Fassari
Finalmente a mare. Ho comprato un ottimo abbronzante, un costume civettuolo tanto, tanto colorato e sono scesa in spiaggia.
Fino alla scorsa estate mi piaceva stare in topless, circondata da amiche che la pensavano come me; assieme raggiungevamo spiagge fuori mano per sentirci libere e belle. Devo dire però che le maggiori soddisfazioni le avevo dalle spiagge affollate… mi dava una gioia netta, quasi un prurito erotico, sentirmi addosso gli occhi di tanti ominidi, giovani o vecchi che fossero faceva lo stesso.
In genere sculettavo… sculettare mantiene sode le natiche ed era gratificante ondeggiare. Molto gratificante. Dovreste provare. Trasgressione, la parola d’ordine allora era trasgressione.
Dopo un anno all’insegna di regole, orari e impegni di lavoro, io e le mie amiche volevamo solo svago. Era bello trovare sempre nuove amiche, complici, magari oche e per le amicizie maschili, per quello c’era tempo, la fine dell’estate per esempio, o l’autunno. Adesso nel solleone estivo ci interessavano solo maschi da sedurre, della serie usa e getta.

Oddio, raramente passavamo ai fatti, ci accontentavamo di attrarre, come il nettare fa con le api, le nostre ignare vittime, sciamanti sulla sabbia infuocata. Spesso fissavamo appuntamenti per la sera ma raramente (quasi mai) ci presentavamo. Facevamo i cosiddetti bidoni, il cui sapore raggiungeva il livello del sublime quando, piazzate a debita distanza, guardavamo le nostre vittime presentarsi all’appuntamento per poi spazientirsi rendendosi conto di essere state buggerate. L’indomani era facile trovare una scusa per un secondo bidone. Così passavamo i giorni.
I poveri maschietti un po’ protestavano, ma in genere quando si trovavano di fronte alle nostre tettine al vento, erano ipnotizzati e sorvolavano, anzi dimenticavano tutto, pronti per un nuovo bidone.
Già allora era in me fortissima la consapevolezza del potere del mio corpo, delle sue forme, delle sue movenze..
Era così fino all’anno scorso: bella, seducente, sicura di me, del mio successo, con frotte di uomini alle calcagna.
Cambiamenti
Quest’anno, però, qualcosa nel meccanismo si è inceppato, è cambiato. C’è stato il crollo. Già… il crollo del mio seno. Da duri meloni a cadenti, pesanti masse inerti, e così pure le natiche che sembravano spingersi con insolito geotropismo verso il centro della Terra. Le mie cosce poi, devastate da un’invasiva cellulite, sembravano formate da gelatina soggetta a microscosse di terremoto.
E avevo accettato il declino con una leggera tristezza senza farmi prendere dal panico e dallo sconforto più nero. Le scadenze e l’ufficio, gli impegni insomma, e i pesanti, coprenti abiti invernali mi avevano “protetta” e qualche corteggiatore, tra i ragionieri, c’era pur stato e questo mi sollevava il morale.
Avevo sempre vissuto nel culto della bellezza, del fitness, ne avevo fatto un vero e proprio valore, una bandiera sotto la quale sfilavano diete, corsi di aerobica e tante altre cose. Nelle discussioni da salotto, sostenevo sempre il ruolo primario dell’anima sul corpo: “il pensiero, lo spirito insomma, si mantengono inalterati nel tempo mentre il corpo, anche bello, invecchia e decade…”. Proseguivo col mio cavallo di battaglia, un proverbio ripreso dalla tradizione siciliana: “Cu s’innamura de’ capiddi e de’ renti non s’innamura di nenti…”
Voglio dire che io parlavo, parlavo, predicavo bene e razzolavo male, pronunciavo il profondo e frequentavo la superficialità. Per questo ero criticata e tacciata di incoerenza, anche se ciò non mi toccava per niente e continuavo con disinvoltura la mia scelta di partner belli, tutto fisico e poco cervello. Era un copione così perfetto, dava quasi un senso di potenza portarli in giro e farli vedere ad amiche e conoscenti per suscitare la loro d’invidia.
Il segreto per non fare brutte figure era evitare che i bei maschietti aprissero bocca per non far trasparire la loro evidente povertà di contenuto. Intendiamoci, non è che fossero scemi, solo impigriti mentali, soggetti che, cullandosi sugli allori della beltà, avevano tralasciato ogni prospettiva, qualsiasi stimolo per migliorarsi su altri campi. Niente a che vedere con quelli che in Sicilia sono chiamati “pezzi’ i’ canni cu’ l’occhi” (pezzi di carne con gli occhi, cioè idioti, involucri vuoti).
Io ero soddisfatta perché da loro ottenevo sempre conferme sulla mia bellezza-valore e questo bastava.
Alcuni anni fa avevo conosciuto un giovane un po’ atipico per i miei gusti o meglio le mie abitudini: simpatico, colto, affabile e gentile nei modi, insomma quello che si dice un tipo interessante. Divenni rapidamente oggetto del suo interesse. Purtroppo però aveva un grosso limite, non rispondeva fisicamente ai miei canoni perché non era bello né alto, i denti non erano perfetti, miope… carino, forse, ma non bello.
Avevo cercato di frequentarlo e di avvicinarmi a lui, ma la lotta con me stessa mi vedeva sistematicamente sconfitta. Quei vetri spessi da miope, quei centimetri mancanti erano ostacoli insormontabili per un’adepta di Afrodite come me. Il mio dogma estetico m’impediva di provare emozioni forti per gli imperfetti. Una bella come me con uno così così… Non ce la facevo, non era per me, era più forte di me…
Eppure quante volte avevo riflettuto sull’assurdità dei miei schemi cercando di correggerli perché consapevole che mi avrebbero generato sofferenza e solitudine. Sì, proprio così, ero in grado di affermare che conoscevo i dettagli più fini del corpo di un uomo ma ben poco, per non dire nulla, della sua anima. E più il tempo passava e più questo copione si rafforzava e si appesantiva cosicché ormai valutavo gli esseri umani, e gli uomini in particolare, dall’aspetto fisico.
La mia zavorra erano la bellezza e il mio tono muscolare. Ero statuaria e in grado di mantenere una postura invidiabile sia che corressi, camminassi, giocassi a palla o più semplicemente parlassi seduta a un tavolo; tutto in me era studiato al fine di potenziare la mia normale attitudine in fatto di richiamo. I miei muscoli si contraevano come fruste senza che mai mi scomponessi e tutta la mia figura emanava fascino e vibrazioni che il sesso forte captava a distanze anche ragguardevoli.
Un giorno, ricordo, un uomo maturo, approfittando della distrazione della figlioletta che teneva per mano, mi sussurrò che si era innamorato delle mie chiappe. Ne ero rimasta gratificata. Alcuni amavano il mio sedere, altri apprezzavano il mio seno. E c’era chi ambedue. Nella mia vita i complimenti di tipo anatomico si sprecavano ma ora, ora ero in una situazione poco nota, foriera di chissà quante e quali nuove per il mio mondo personale e relazionale.”.
Sospirò.
“Visto questo mio calo, i soggetti abituali difficilmente si sarebbero presentati a inneggiare o elogiare il mio corpo ed io stessa avrei dovuto rassegnarmi, accettarmi in quell’inedita immagine. Mi persi d’animo mentre pensavo a queste cose, ma poi mi attivai per correre ai ripari. Per prima cosa misi da parte il due pezzi e cancellai dalla mia mente l’idea del monokini; in quell’estate stavo in cabina almeno mezzora prima di uscire e spendevo questo tempo per sistemarmi meglio che potessi; il mio stato d’animo non era dei migliori perché provavo un senso di vergogna e di profondo malessere come se avessi dovuto giustificare al mondo il crack fisico. Lottavo con me stessa ripetendomi che, in fin dei conti, dentro ero sempre la stessa.
Erasmo
Avevo cambiato lido, per non incontrare vecchie conoscenze, sarebbe stato imbarazzante. E anche per non imbattermi in qualcuno degli spasimanti che avevo trattato male e… bidonato. Erasmo, per esempio… Erasmo mi aveva corteggiato intensamente due anni prima. Un fare discreto il suo, disinvolto ed elegante, ricco di tante piccole attenzioni, di quelle per cui le donne vanno matte. Io non lo ero diventata. Erasmo non era bello. Neanche brutto. Un intellettuale dinamico che conosceva il mondo, parlava le lingue ed era molto spiritoso. Il suo interesse per me non mi entusiasmava, lo ritenevo un borghese troppo normale che suscitava poca presa sulle mie amiche ed io avevo a cuore la loro opinione in fatto di maschi.
Ricordo, come fosse oggi, un giorno sulla spiaggia; allora Erasmo fu, a suo modo, veramente carino:
“Mi fa piacere vederti, ti aspettavo… E vedo che sei già abbronzatissima” disse. “Sono emozionato, scusami… avrei un piccolo pensiero per te: un olio solare a base di avocado, viene dal Brasile. Lì in alcune isole del Pacifico lo usano per proteggersi dal sole ed evitare il formarsi delle rughe!” E solare era il sorriso di Erasmo mentre mi porgeva il flacone.
La mia faccia era rimasta di mummia, senza un sorriso, ma anzi arida e presuntuosa come può esserlo solo quella di una narcisista ferita nell’orgoglio. Con tono offeso tuonai respingendo con un gesto delle mani il suo pensierino.
Parlai con veemenza.
“Ascolta signorino, io di rughe non ne ho” dissi. “Quindi il tuo avocado o come si chiama, regalalo a qualcuna delle racchie che frequenti!”.
In quell’occasione ero stata durissima e me ne ero accorta vedendo la sua faccia imbarazzata, un bimbo al quale la compagna che ama rifiuta l’offerta di una dolce caramella. La delusione si leggeva nel volto di Erasmo e anche le mie amiche nonostante la loro superficialità, mi fecero capire con sguardi e gesti, che stavolta l’avevo fatta grossa. Io, invece, mi sentivo fiera della mia arroganza e dell’effetto scatenato sul mio entourage, quasi che con il mio agire il mio prestigio e carisma avessero avuto una forte lievitazione. Così era finita con Erasmo, uno dei miei più grandi ammiratori.
“Il più distinto e ricco di cuore, il più delicato. Il non bello. Io ero bella, lui no” mi dissi. “La natura ci aveva fatto incontrare senza possibilità di unire le nostre frequenze esistenziali perché troppo diversi. Licenziai i pensieri su di lui senza fatica, senza un briciolo di rimpianto, avevo tanti Erasmo in lista d’attesa. Chi se ne fregava ? Io sculettavo come, quando e dove volevo.”
Intanto perfezionavo il mio parlare civettuolo atteggiando le mie labbra vermiglie per colpire i maschi. E non c’era cosa più facile. Bastava ammiccare con lo sguardo tipo occhi di triglia per averli ai piedi, tutti… dal garzone al bagnino, dal professore universitario finanche al sacrestano, si trattasse di scapolo o di ammogliato non faceva differenza. E più difficile appariva la conquista e più la cosa mi allettava. Qualche volta, lo ammetto, mi sentivo quasi onnipotente nel mio corpo armonioso e seducente, ambito da ogni dove. Questa ero io e anche di più. Per anni abbagliata da questo potere, avevo accantonato ogni dialogo sincero, ogni comunione profonda con gli altri e persino con me stessa. Così presa dalla mia pelle, avevo dimenticato il suo prezioso contenuto.
Mare nuovo
Nel nuovo stabilimento balneare non conoscevo nessuno.
“Meglio così, l’ho scelto apposta. Chi non mi ha visto nella fase di splendore mi considererà passabile. E in effetti pensandoci bene cos’ho di meno? Quello c’era sempre. Chiappe e seno bassi e flaccidi? Labbra meno carnose di una volta? Tono ridotto? Passabile, ora sono una donna passabile. La stupenda farfalla ha avuto un’imprevista involuzione scivolando indietro verso un’esistenza da sfinge, criptata e incerta del futuro; adesso non era più l’insetto perfetto. Affamata senza il cibo che aveva sempre avuto copiosamente. E al buio, soprattutto al buio. Preparatasi per vivere in volo tra i fiori era costretta a fermarsi a riflettere.
“Questo sono divenuta io!” Era un giorno più caldo del solito e avevo fatto un bagno ristoratore, bella fresca mi dirigevo verso il solarium, il posto migliore per fare qualche incontro: ero stanca di stare sola! Ai tempi d’oro i pappagalli sarebbero arrivate a frotte, come locuste affamate… che divertimento, ma, ahimè, tutto passa nella vita e rimasi lì per due settimane, quattordici giorni belli pieni, senza che si facesse vedere nessuno, neanche un vecchio. Di maschi c’erano e ne vedevo pure, mentre mi passavano vicino in silenzio o per dirmi: “La sdraio è libera, signora?” “Ha bisogno dell’ombrellone, signora?”.
Fece una pausa e riprese.
“Mi trattavano col distacco e il rispetto che si devono a una stagionata. Che colpo era per me! E un colpo mi venne… di amarezza, di malessere, per tutta quella situazione che non accettavo. E’ difficile per qualunque donna accettare il tramonto se è repentino e senza avvisaglie, in particolare quando la vita è stata sempre un’alba fiammeggiante di luce. Il leggero calo del mio astro mi appariva come la notte più buia e senza stelle, nera come il mio umore.
Lì da sola, senza nessuno con cui scambiare qualche parola, scherzare, sorridere.
La testa cambia
Divenivo sempre più attenta a me stessa e notavo che il sole mi nuoceva: la mia pelle si raggrinziva in un rapidissimo processo di senescenza. I raggi solari in sinergia con la mia amarezza mi avevano anche dato alla testa; solo così si spiegava la mia confusione mentale. Non connettevo più, e soprattutto mi era diventato impossibile restare ancora un minuto da sola. Quasi mi odiavo.
“Se almeno uno dei miei vecchi fan si facesse vedere…” pensai. “Anche uno di quelli che avevo snobbato, mi avrebbe tenuto compagnia rischiarando con la luce dell’amicizia, o almeno della vicinanza, il buio.”
Accorgermi di pensare in questi termini fu per me preoccupante. Seppur con difficoltà, stavo cercando di accettare il calo fisico ma non tolleravo lo stato di autocommiserazione in cui mi stavo impaludando. Stavo lentamente diventando racchia anche a livello mentale.
E allora che fare?
Accettare? Arrendersi? Distesa sul solarium, in preda a un leggero senso di sonnolenza, mi arrovellavo e sentivo la testa calda.
D’improvviso un leggero ticchettio alle spalle, quasi un cauto bussare alle porte del mio corpo, mi richiamò dal torpore.
Automaticamente mi rivolsi verso la sorgente di quello stimolo.
Di fronte a me avevo il faccione simpatico e sorridente di uno sconosciuto.
“Come va?” esordì.
“Tutto bene?” risposi imbarazzata .“Ehm… sì, grazie, diciamo di sì…”.
La familiarità con cui quell’uomo si poneva mi faceva pensare che mi conoscesse, magari era un vecchio ammiratore o un conoscente di cui non ricordavo.
Proseguì con garbo: “La trovo bene, eh sì, le ferie fanno bene a tutti, ci migliorano!”
Feci finta di conoscerlo e nutrii il dialogo.
“E’ vero, io poi ero talmente stanca che un po’ di riposo era veramente vitale! Piuttosto mi sfugge il suo nome…”
L’uomo continuava a sorridermi forse cogliendo il mio imbarazzo e accettandolo come motivo di divertimento.
“Ah, scusi, sono Erasmo” disse con tutta la dentatura, gengive comprese, protesa in un sorriso solare. “Si ricorda di me?”
A volte ritornano
Trasalii.
“Erasmo!” Avevo un’altra conferma del divertito modo di agire del caso nel determinare le situazioni meno probabili e trasformandole in necessarie e obbligate. Tu cerchi di evitare qualcosa e lui te lo sbatte in faccia. Tuttavia bisogna riconoscere che talvolta il crudele spinge verso di te cose che altrimenti graviterebbero in altri universi. Erasmo, il poliglotta, il dolce non bello ma mica era poi tanto male.
“A guardarlo bene, discreta forma fisica, sorriso solare, simpatico e vivace nel modo di fare…” pensai. Così non ero più sola nel solarium e forse potevo lasciarmi contagiare un po’ dal suo ottimismo. Iniziammo un dialogo serrato.
“Erasmo, quanto tempo è passato da quando ci vedevamo con gli amici?” domandai.
“Non so esattamente, ma almeno quattro-cinque anni!” rispose.
“Sembra ieri, un batter di ciglia. Chissà quante cose interessanti avrai fatto, visto il tuo spirito attivo e curioso.”
“Questi anni? Passati come tanti altri! Viaggi di lavoro, gente di ogni risma, paesi lontani, delusioni e soddisfazioni, nel complesso una vita normale con meno incertezze di una volta!”
Erasmo parlava con tono dolce e mentre esprimeva il suo pensiero, il suo volto s’illuminava di soddisfazione.
“Io ti trovo in forma” dissi con compiacimento. “E anche più sicuro rispetto ai tempi andati, indubbiamente sei maturato e sai cosa vuoi…”
“Caspita, comincio a fare discorsi seri” pensai e mentre me ne accorgevo, era come se mi stupissi. E allo stesso tempo un briciolo di contentezza faceva capolino nel mio universo ameno.
Il mio interesse per Erasmo crebbe di giorno in giorno. Mi chiedevo se mi stessi innamorando o se più semplicemente si trattasse di affinità, per così dire, mentale. In certi istanti mi sembrava trasudasse eros e anche la mia pelle, oltre la mia anima, ne gustava la totalità.
Nuova seduzione
I suoi occhi scrutanti sembravano perquisirmi in ogni angolo e mi accarezzavano in ogni dove senza che io cercassi di scappare. Incrociavano il mio sguardo e li vedevo scendere sul mio seno, sul mio ventre senza che io provassi imbarazzo. In quei brevi incontri sul solarium provavo una sensazione di pienezza come mai nella mia vita. I futili discorsi, l’ossessiva attenzione verso la bellezza e al denaro diventavano un ricordo sempre più lontano quasi riguardassero un’altra vita.
Era come se i miei vuoti, le mie solitudini, fossero sostituiti da emozioni positive che spazzavano via le mie tristezze. Un senso di felicità mi faceva vibrare ogni qualvolta Erasmo arrivava al lido e si avvicinava a me. Niente al mondo, in quei giorni, avrebbe potuto privarmi di quegli incontri.
Mi svegliavo al mattino per loro, mi addormentavo pensando a lui e sperando di rivederlo l’indomani. E di lui non mi stancavo, come se nutrissi una vera e propria dipendenza perché quando ritardava rispetto al consueto, divenivo irrequieta e il pensiero che non venisse mi faceva star male.
Quella domenica arrivò, com’era suo solito, verso le dieci, ma non era solo. Con lui c’era una ragazza bionda. Bionda e appariscente. Anche bella.
Erasmo, appena mi vide, si avvicinò.
“Ecco, ho il piacere di presentarti Carla, la mia fidanzata!” disse.
Tra donne ci si comprende
Io e la bionda ci stringemmo la mano mentre cercavo di mascherare la tensione.
Ancora una volta in quei giorni Erasmo mi sorprendeva: era fidanzato sebbene da più di due settimane mi francobollasse come in genere fa chi ha un certo interesse. Era evidente che i miei schemi mentali facevano acqua da tutte le parti. Erano solo schemi. Erano rigidi. Scheletriche strutture forse efficaci rispetto al mio vecchio copione di mangia-uomini ma del tutto incongrui rispetto alla mia nuova dimensione.
Erasmo mi sembrava leggermente diverso, forse un po’ meno chiacchierone del solito. Era tutto per la sua bionda. Ogni mezzora la cospargeva di olio solare coprendola, sottovoce, di frasi d’amore. Lei, Carla, si crogiolava nel bagno di quelle calde attenzioni e lo ricambiava, con moine e carezze da gattina in calore.
Tutto questo mi dava fastidio ma di cosa dovevo lamentarmi, cosa c’era d’insolito? Anni prima Erasmo non aveva forse fatto lo stesso con me, ma io dura e insolente non l’avevo mandato al diavolo? Avevo avuto la mia chance, ora toccava a qualcun’altra!
Più tardi Carla si slacciò il reggiseno del bikini e con gran disinvoltura esibì il suo corposo. Fui sorpresa di tanto ardire ma non potevo pensare a lei nemmeno come a un’esibizionista perché quella tappa era stata anche mia.
E allora cosa fare? Niente, niente di niente, soltanto accettare.
Sentivo distrattamente Erasmo parlare.
“In questi anni ho modificato alcuni miei schemi mentali; ora ho messo da parte un po’ della mia profondità e sono diventato più superficiale, realista e determinato. Ho detto basta alle donne troppo complicate e alle situazioni troppo difficili. E’ come se mi fossi semplificato. Mi piacciono sempre le donne belle, basta che abbiano la quantità giusta di cervello, né troppo né troppo poco. La cosa più importante è che ci stiano. E che siano belle… vero cara?”.
Sintonia
Così dicendo si rivolse alla sua Carla.
“Pienamente d’accordo con te, Erasmo…” fece lei. “Sei sempre acuto e sincero, sai farmi impazzire!” Come si sbilanciava la Carla! Anch’io avrei voluto farlo per Erasmo ma non era proprio possibile e dovevo sopportare di vederlo con un’altra donna, bella per giunta. Che fastidio!
Passarono diversi giorni prima che Erasmo si facesse vedere e mi ero molto intristita.
Un mattino rividi Carla, sempre allo stabilimento balneare, ma senza Erasmo e fu naturale ritrovarsi a chiacchierare sotto l’ombrellone. Mi propose una passeggiata lungo la battigia e fui ben contenta di spostarmi da quella sdraio cui ero incollata da un mese. Cominciammo a camminare sulla bianca schiuma, cosa che in passato facevo spesso per mantenermi tonica e Carla cominciò a parlare a briglia sciolta, come se mi conoscesse da vecchia data.
Diceva che stava con Erasmo da poco più di due mesi e che si considerava una donna quasi felice; quasi non perché qualcosa non andasse bene ma perché, a suo dire, per gli esseri umani è preclusa la perfezione e quindi la felicità assoluta.
L’ascoltavo con attenzione e interesse, gustando le sue parole, rinfrescata dalla sensazione della sabbia compatta sotto i miei piedi. Che bella sensazione! Tutto nella mia vita, poco a poco, mi sembrava nuovo. Cose ingrigite ormai fatte come il passeggiare sulla spiaggia o ascoltare una persona che ti parla, si stavano dipingendo con i nuovi colori del mio essere e della mia rinnovata sensibilità.
Rivelazioni
Carla proseguiva le sue confidenze.
“Ho conosciuto Erasmo che era sinceramente deluso dalle donne così come io degli uomini. Ambedue stufi del comportamento degli altri nei nostri confronti. Era come se con noi tutti seguissero un copione: gli uomini mi avvicinavano sempre ed esclusivamente per la mia bellezza tralasciando la mia interiorità, le donne belle scartavano Erasmo per i suoi limiti estetici! Il tutto con un ripetersi mostruoso, quasi ossessivo!”
Nel raccontare, Carla esprimeva grande soddisfazione, come quella che si ricava superando una grande difficoltà.
“Il nostro rapporto ha smentito, demolito il dogma del simile che va col simile per cui il bello è cercato e può essere ambito solo da se stesso, il bello! Ecco cosa ci ha attratto l’uno verso l’altro: la voglia di spezzare gli schemi e dare voce alla nostra vera, autentica esigenza: essere amati nella nostra totalità. Ed eccoci qua, presto ci sposeremo!”.
Comprensione
Carla era inarrestabile, un sacco pieno che si svuotava.
“Mi sei stata subito simpatica” disse guardandomi negli occhi. “Sei sensibile e anche se non puoi capire appieno tutto questo, so che intuisci il pesante fardello che può rappresentare la bellezza, il peso della diffidenza, l’angoscia del dubbio che l’altro ti scelga solo per il tuo aspetto, per le tue cellule insomma, e non per le tue qualità umane. Sapessi, tu puoi capirmi… ognuno di noi ha dei lutti da raccontare, dei rifiuti da digerire. Sai, è difficile essere belli!”
Annuii con un gesto del capo mentre provavo un senso di strana, indecifrabile malinconia, ma sentivo che ormai un nuovo capitolo della mia vita si era aperto, sofferto forse, ma tutto da scrivere.
Mi scrollai dal soprappensiero calciando la schiuma e le sue particelle argentee verso il cielo.
Osservavo Carla.
Era ancora lì, accanto a me.
Mi uscì un accenno di sorriso, carico di dubbi ed incertezze sul domani, e mi rivolsi alla compagna di Erasmo che tanto m’aveva insegnato.
“Tu dici che è difficile essere belli, Carla. Certo, hai ragione, ma è più difficile esserlo stata!” dissi con serenità.
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