Il sorriso della cripta-finale
Il sorriso della cripta-finale racconto di G. Fassari
Era un tramonto dolce e luminoso e il cielo aveva sfumature rosa. Si trovava in giro per il paese e percorreva una strada secondaria per andare a comprare il pane; in una piazzetta vide una giovane con le stesse fattezze della donna misteriosa. Unica differenza i capelli molto lunghi. Lo guardava con insistenza stringendo gli occhi come per focalizzarlo meglio. L’avvicinò e vide che gli sorrideva. Un sorriso stentato e freddo ma pur sempre un sorriso che turbò la sua anima.
“Ti rivedo finalmente!” disse. “Sono passati dei mesi da quella notte ma, grazie a Dio, ti rivedo!”.
La fanciulla dimostrò imbarazzo e stupore.
“Signore, non so a cosa si riferisce, di quale notte parla, io non esco mai la sera e non la conosco! Comunque mi chiamo Catena. Se vuole la mia frutta, è buonissima e ha un ottimo prezzo! Sì, io vendo frutta ogni giorno in questo posto.”
Lo guardava con aria assente.
Licio ebbe la sensazione che fosse stato frainteso e considerato come uno che stava tentando un approccio.
Si allontanò a malincuore ma almeno adesso sapeva dove trovare quella donna. Era certo che fosse la ragazza del temporale. Così com’era certo che nascondesse qualcosa d’indefinibile. Spesso passava da quel luogo sperando di rivederla ma di lei non ci fu traccia per molti giorni.
Nessuno nella zona sapeva dare indicazioni, nessuno l’aveva vista.
Pensò che fosse arrivato il momento di parlare, di sfogarsi con qualcuno e si recò nell’alloggio di Don Carlo; dopotutto viveva nello stesso edificio e conosceva tutto del paese. Si vedeva poco in giro, giusto la domenica per la messa e qualche volta per raccogliere fondi che destinava ai poveri delle contrade vicine.
Don Carlo
Licio si trovò di fronte il solito uomo trasandato, con la toga sporca e i capelli unti. Altrettanto trascurata era la sua stanza.
Chiese della giovane donna ma il parroco, come infastidito, sostenne di non avere nulla da dire. Poi il dialogo si spostò sulla cripta. Chi erano esattamente quelle tre donne? E dov’era il terzo corpo?
“Tutti i visitatori mi chiedono informazioni su quelle donne e io non so nulla; anche sui libri che ho consultato non c’è niente” disse Licio con determinazione. “Don Carlo, voglio sapere dov’è il terzo corpo!”
Don Carlo cominciò a sudare.
“Perché fa queste domande, caro Licio, non sono pertinenti al suo lavoro!”
Si sedette lentamente su una polverosa poltrona e continuò.
“Bisogna andare indietro di almeno un secolo, a un mio predecessore, Don Steno, il prete di questa comunità”raccontò. “Era molto amato e rispettato da tutti, un “pastore di Dio”; poi s’invaghì di una donna del paese, perse la strada di Cristo e imboccò quella del peccato. Fu travolto dalla passione e iniziò una relazione clandestina dalla quale nacquero due bambine… La sua personalità, in preda a mille conflitti, divenne fragile e fu aggredita dal diavolo.”
Matrimonio!
Licio aveva gli occhi sbarrati. Annuiva.
“Don Steno cambiò drasticamente, non servì più la messa e divenne cattivo e violento. Si dice che abbia ucciso la donna e le figlie… ma forse sono soltanto leggende di paese! Comunque basta, ho parlato abbastanza, ho altro da fare!”
E dicendo questo, con insolita agilità, se ne andò dalla stanza lasciando Licio confuso e turbato.
Qualche settimana dopo, pioveva a dirotto e Licio passò dal solito luogo e vide la giovane donna col suo banchetto di frutta.
Le si avvicinò timidamente con l’intenzione di comprare qualcosa ma lei si mostrò meno loquace della prima volta. Semplicemente gli riempì un sacchetto di mele rosse e abbassò lo sguardo. Non disse una parola.
Licio si allontanò con l’angoscia nel cuore.
Si trovava nella chiesa della cripta. Quel giorno era elegantissimo, in abito scuro e cravatta; sulla giacca un piccolo garofano bianco. La chiesetta era piena all’inverosimile e lui era all’ingresso ad aspettare la donna del suo destino, Nerina, la fidanzata storica. Non era male nel suo abito bianco. Gli diede un bacio e felicemente i due si diressero verso l’altare. Tra i presenti c’erano tutti, i genitori, i suoceri, molti amici.
L’organo suonò festosamente: Licio si sposava nella chiesa di Cavosa.
Era sicuro di quel passo? Com’era arrivato a sposarsi con le sue insuperate incertezze? Fino il mattino si era detto che non era pronto e quella non era certo la donna che lui amava perché il suo unico pensiero era per il fantasma del temporale.
Porse la fede nuziale alla futura moglie e ne vide il profilo. Non gli piaceva. Non gli era mai piaciuto.
In chiesa
E allora cosa fare? Era bloccato, come paralizzato, ma non poteva certo abbandonare la situazione. Era in trappola.
Si svegliò, sudato e spaventato: era solo un incubo!
In un piccolo paese come Cavosa anche un semplice incontro tra due persone difficilmente passa inosservato. La vita è lenta e la noia fa in modo che le poche novità si diffondano alla velocità della luce. Le donne dietro le finestre spiano la strada per poi raccontare alle comari quello che hanno visto magari con l’aggiunta personale.
Licio decise di prendere l’iniziativa e di chiedere un appuntamento alla ragazza del banco di frutta.
Fu molto tenero e la invitò a uscire e a scegliere un luogo: la ragazza divenne rossa in viso per l’imbarazzo ma poi suggerì il piccolo spiazzo antistante alla chiesa.
Così nel tardo pomeriggio del giorno dopo i due s’incontrarono. In chiesa erano presenti numerosi fedeli in preghiera.
Qualcuno si alzò dall’inginocchiatoio per sbirciare all’ingresso e, con sorriso maligno, fece segno agli altri che Licio e la ragazza erano arrivati. Fu chiaro ad ambedue che quello non era il miglior luogo per parlare.
Licio fece cenno con il capo alla ragazza di raggiungere il cortile della chiesa per scendere nella cripta. Lei non batté ciglio e si diresse lentamente alla porticina che dava accesso alla scala. Scesero gli scalini e si trovarono nella grande sala, pallidamente illuminata da una candela elettrica.
Licio accese altre luci.
Pensò che non era il luogo ideale per un incontro.
La fanciulla mostrava di conoscere il luogo e sembrava a suo agio.
Occhi nuovi
Si soffermò qualche secondo a osservare i corpi immobili nei loro coloratissimi abiti e si portò nella zona delle tre sorelle. Si fece il segno della croce e cominciò a leggere una delle targhette alla base di una teca.
“Giovane, di spirito profondo e di grazia sublime, prematuramente donò, per scelta altrui, la vita al Signore.”
Sospirò e disse: “Povere ragazze, erano bellissime e purissime eppure questo non le ha salvate dalla cattiveria; sono state uccise e giacciono qui!”
Licio, sorpreso e ammutolito, era certo che lì fosse avvenuto qualcosa di molto brutto.
Coglieva con piacere come una semplice ragazza di paese possedesse uno spirito così delicato e profondo. La vide mentre si sedeva sugli scalini alla base della teca vuota.
Il suo volto sempre serio si aprì in un sorriso, i suoi occhi sorrisero anch’essi.
Tutto il suo essere si porse con disponibilità verso l’uomo che era in sua compagnia.
“Avvicinati Licio! Tu sei il custode di questo luogo e del segreto che qui si cela. Nel paese molti sanno ma nessuno parla. Queste tre donne sono le vittime di un orribile delitto, un assassinio. Un prete, Don Steno, ebbe una relazione con una donna e per volontà di Dio nacquero due figlie…”.
La ragazza si sdraiò su una lapide.
Il suo sguardo era come disperso nel nulla ma lei continuava a sorridere. Licio era a mezzo metro da lei che con un gesto della mano lo invitava a venirle accanto.
“Vieni, vieni, amore mio!” fu il bisbiglio nella sua mente.
Lei
Lei lo invitava.
I loro volti erano a pochi centimetri e lei accostò la sua bocca a quella di Licio che era pallido come le pareti della cripta.
Lei emanava un profumo di essenze floreali che inebriavano i sensi dell’uomo. I suoi occhi e le sue cornee brillavano di luce e di vita. E il suo corpo emanava una vibrazione irresistibile che lo attraeva senza scampo. Lo tirò per le spalle e lo avvicinò bruscamente verso di lei, poi prese il suo capo con il palmo della mano e con uno strappo lo baciò con impeto.
Licio avvertì le calde labbra e le offrì la lingua. Passivamente cedette all’offerta. In quella fredda cripta il corpo della donna era di fuoco così come la pelle.
La sua lingua di nuovo entrò nella sua bocca e un attimo dopo i due furono pervasi da un tepore intenso di vita.
Licio osservava lo sguardo triste della fanciulla che sembrava comprendere ciò che lui provava. Lo guardava con tenerezza infinita come una madre il figlioletto.
Licio non poté non pensare al rapporto senza senso con la fidanzata; aveva trovato la donna della sua vita e l’amore gli pervadeva l’anima: partiva dall’addome e s’irradiava per tutto il corpo fino alle punte estreme, era un’energia che lei gli dava e tale era la sua forza che non poteva distaccarsi.
La donna lo chiamò per nome.
“Amore! Tu per me sei vita, mi ha fatto riappropriare totalmente della mia storia.”
Licio non comprendeva pienamente il senso di quelle parole ma si sentiva sciogliere, una roccia che si sfalda in scintille di luce.
Dolcezza
Anche il freddo marmo su cui i due giacevano sembrava emanare calore.
Licio era confuso. Sentì una dolce voce, come una cantilena, che scandiva un motivo infantile. Chi era che cantava una tale dolcezza?
Con la coda dell’occhio vide due macchie di colore azzurro e celeste che ballavano con grazia sublime attorno a lui e alla ragazza. Erano figure di luce che si fondevano e si dividevano plasticamente assumendo forma umana e compiere balzi, salti e gioiose piroette.
Le teche delle due ragazze ora erano vuote.
Loro erano lì e ballavano sorridenti, muovendosi con agilità.
Allora Licio comprese almeno una parola di ciò che le ragazze cantavano.
“Mamma…” dicevano.
Trasalì.
Vide la donna, la sua compagna carnale, cambiare in volto e apparire come una donna matura, una cinquantenne.
La sua fronte era corrugata e i suoi occhi piangevano. Si udivano chiaramente i singhiozzi. Non erano quelli disperati del giorno di pioggia ma di gioia e di pace.
Licio accarezzò il suo viso, era freddo, ma sorrideva guardando le due ragazze danzanti.
“Siete bellissime, figlie mie. Vedervi così piene di vita mi rallegra il cuore e rende meraviglioso questo mistero che mi ha tenuto in vita per tanto tempo. Adesso siamo finalmente unite. Quell’uomo malvagio che un giorno ci ingannò ormai è un corpo inerte, presto sarà cenere. Noi siamo vive. Ci siamo riunite grazie alla luce di Licio che con le sue cure e la sua gentilezza ci ha dato un’altra possibilità. Sono felice!”
Dopo aver detto queste parole, il corpo della donna, esanime, perse il suo calore e si afflosciò come un sacco vuoto tra le braccia dell’uomo.
Il segreto della cripta

Il tempo si fermò.
Poi riprese il suo cammino e Licio si ritrovò solo nella cripta. Si guardava intorno, come ubriaco.
Tutto era silenzio.
Quando vide i tre corpi delle donne che giacevano composti nelle teche, la sua schiena e la sua anima diventarono di ghiaccio
Si chinò e raddrizzò una piccola targa consunta che non aveva mai notato, forse perché era a terra. “Madre Catena e le due figlie: un esempio d’amore eterno.” recitava.
Dopo qualche tempo un incendio si sviluppò nella cripta che fu in parte distrutta.
La nicchia che ospitava i resti del sacerdote noto come Don Steno fu ridotta in cenere.
Licio non sentì più Nerina e non tornò più nella città originaria: visse serenamente come custode della chiesa-cripta di Cavosa per altri cinquanta anni.
La cripta fu restaurata ed è divenuta meta ogni anno di migliaia di visitatori.
Le autorità del paese per esprimergli la loro gratitudine decisero di assecondare le ultime volontà del vecchio custode: il suo corpo fu imbalsamato e deposto all’interno della cripta in un’apposita teca, accanto alle tre donne.
I visitatori si sorprendono nel vedere quell’accenno di sorriso sui volti di Licio e delle tre donne.
Il gruppo è conosciuto come “Le mummie sorridenti”.
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