Il mistero di una gita domenicale (finale)
Il mistero di una gita-finale
“Mio padre mi raccontava che durante la seconda guerra mondiale, il 6 agosto 1945, quando su Hiroshima cadde Little boy, la bomba atomica, il Crocifisso trasudò sangue e lui fu tra i pochissimi testimoni di quell’evento miracoloso. Mantenne sempre quel segreto. Ora sono qui perché sono certa che per i fatti dolorosi dell’ex-Jugoslavia avverrà lo stesso ed io voglio esserci, asciugare il sangue e ricevere carisma.”.
Mi sentivo come sull’orlo di un abisso,
dove si estingueva il patrimonio di ogni mia conoscenza per fare posto a un dirompente mondo soprannaturale; sentivo che la mia fisicità perdeva la consistenza di atomi e particelle per divenire eterea.
Questo percepivo in quell’incontro a tre con la ragazza e il Crocifisso del santuario.
“Ma perché proprio io?” le dissi. “Perché dici tutto questo a me, un imperfetto credente, un uomo comune, di quelli che pregano al bisogno e che nulla fa per il prossimo. E come puoi pensare che ti creda?”
La ragazza accennò un sorriso che le illuminò il volto cupo di una corona di bianchissimi denti. Notai le palpebre semichiuse e il suo il viso rilassato.
“Non hai una fede convinta…”
“Proprio perché sei una persona comune puoi di cogliere in modo giusto il mio messaggio. Non hai una fede convinta; sei sì un cristiano ma più per educazione che per scelta consapevole; potresti essere anche di un’altra religione vista la fragilità dei pilastri del tuo credere: un buddista e noi trovarci ora in un wat, o un musulmano in una moschea, o un induista… o un seguace di Zeus in un tempio dell’antica Grecia, nulla cambierebbe, se quel credo fosse labile come il tuo attuale. E non è neanche una tua colpa se la tua fede è fragile poiché sei una persona onesta, ma oggi per te si è aperta la strada della conoscenza ed io sono la tua guida.”
Per l’emozione la bocca mi si era inaridita.
Avevo a che fare con una pazza o pazzo ero io a non scappare?
“Tu sei perplesso ed è comprensibile perché la tua vita è scorsa nella normalità senza nulla di straordinario com’era per me prima che mio padre mi parlasse. Occorsero anni per capire profondamente e crescere. Non preoccuparti, ti aiuterò! Ora osserva il Crocifisso e il volto…” Il mio sguardo si sollevò verso la parte alta della Croce. Per la prima volta mi soffermavo a osservarne la fattura invero piuttosto grossolana. Il legno aveva una serie di piccole spaccature che raggiungevano i margini della Croce e la figura umana, colorata in modo marcato e pacchiano, come in stile naive, era agganciata al ceppo con grossi chiodi scuri. Il volto era bello e semplice, con lunghi capelli riccioluti che scendevano docili sulla fronte fino a coprire un occhio mentre le labbra erano parzialmente visibili per la barba incolta.
In ascolto
Il corpo era nudo a parte il bacino che era avvolto a spirale da un lenzuolo lacero. Fui colpito dalla magrezza di braccia e gambe dell’uomo sulla croce e dal fatto che non si distinguevano le dita per cui mani e piedi avevano un aspetto piatto con semplici rigature in luogo degli spazi tra le dita. L’artista non doveva essere granché dal punto di vista tecnico ma quell’opera suscitava qualcosa di più potente di un semplice senso di ammirazione.
Fui richiamato alla realtà.
Intervenne lei.
“Stai pensando che non si tratta di un Crocifisso di pregio, vero? E che l’autore non doveva essere un grande artista. Sì, forse hai ragione e avrai notato anche l’umiltà del legno usato ma penso tu comprenda come tutto questo non sia casuale bensì legato allo scopo per cui fu costruito. Fosse stato in oro, con intarsi barocchi e di notevole valore artistico, non sarebbe qui, in quest’umile angolo del tempio ma sull’altare principale, venerato come Dio e come oggetto d’arte; forse si pagherebbe per entrare e vederlo e invece esso nacque per essere umile, passare inosservato agli apprezzamenti e invitare al raccoglimento e alla riflessione, per invogliare a denudarsi dalle convenzioni di possesso e sopraffazione e ritrovare la condizione dell’essere in luogo dell’apparire”.
Ascoltavo la ragazza e continuavo a mantenere il mio sguardo sulla Croce.
Quiete
Fui sorpreso dall’intensità con cui osservavo i particolari mentre un senso di pienezza, un benessere caldo si sviluppava all’interno del mio petto. Vedevo il sangue rappreso attorno ai chiodi che laceravano la carne e il rosso m’induceva una strana calma. A un tratto l’immagine e le parole che percepivo si mescolarono in un modo nuovo di sentire la realtà, come se le parole della ragazza e l’immagine della Croce avessero un’origine comune e provenissero non dal fuori ma dall’interno di me stesso.
Questa consapevolezza non generava in me alcuna tensione o timore, bensì totale appagamento e un senso di forza straordinario. Poi la visione divenne meno nitida, lasciando prevalere le parole. Non afferravo più il contenuto ma solo il loro incedere calmo e ripetitivo che contribuiva a esaltare quel mio stato psichico.
Sul Crocifisso la grossolana figura umana cominciò a sollevarsi, a ondeggiare e deformarsi, assumendo forme molteplici e indefinite i cui colori baluginavano, ora tiepidi ora saettanti, in una luce che mi accecò per un attimo, disponendomi allo stupore.
Ero in uno stato di completo rilassamento e quiete. Qualunque cosa fosse accaduta sarei voluto rimanere in quello stato di felicità. Sulla Croce allora mi apparve la ragazza, a capo chino, vestita di un drappo bianco rigato di sangue e poi, in una successione parossistica s’inseguì un gran numero di figure provenienti da ogni tempo e da ogni spazio.
Vedere
“Sì, scusatemi mi è successa una cosa strana” dissi. “Poi, poi vi racconto, vi chiedo scusa, specie a tutti quelli del nostro pullmann. Forse mi sono sentito male… non saprei. Anche ora non sto molto bene…”
Colsi la crocifissione di un barbaro piangente, di un soldato disperato armato di archibugio e di un altro con una terribile arma automatica, di una madre e di suo figlio terrorizzati dai boati delle bombe, di bimbi ischeletriti con petto la croce di David. Vidi le lacrime che scendevano sul volto di un uomo nero e poi fu la volta di tanti animali inchiodati, delle grandi balene, di uccelli coloratissimi, di quaglie e aquile, di bianchi ermellini e visoni, leopardi, tartarughe dalla dura corazza.
“Quante crocifissioni, mio Dio, quante…” pensai con dolore.
Sulla Croce ricomparve la ragazza dal capo chino.
Alzò lentamente la testa e mi sorrise con benevolenza.
“Quante crocifissioni vero?” disse. “Gente semplice e di potere; da quando la vita nacque, la crocifissione ha riguardato tutti, animali, piante e uomini. E chissà quante ancora ne verranno. Il Crocifisso serve a rimembrare tutto questo agli uomini che hanno in mano i destini del mondo e che sono così disattenti al bene, distratti dal potere.”.
Quanto tempo rimasi nel santuario?
Intontito come ero, non mi resi conto del tempo trascorso. Appena mi ripresi mi ritrovai al di sotto il Crocifisso; non c’era traccia della ragazza. Ero completamente solo.
Uscii dal santuario pervaso dall’ansia.
Sentii subito la voce di Placido che mi chiamava.
Mi feci vedere.
Era seccatissimo.
“Dove sei stato?” mi urlò da lontano. “E’ da un’ora che ti cerchiamo e gli altri autobus sono già partiti; ci siamo preoccupati.”
Pausa
Salimmo sull’autobus che a tutta birra s’impegnò a recuperare un po’ del tempo perduto. I miei due amici mi tempestarono di domande su quello che era successo, ma io mi mantenni sul vago. Ero anche di uno strano umore e mentre tutti cantavano rimasi in silenzio con gli occhi chiusi a ripassare quanto era accaduto.
Arrivammo in una trattoria.
“Mangiare”, pensai, ”vista la mia debolezza, mi farà bene”.
Ci accomodammo attorno a un grande tavolo con altri ragazzi. Tutti mi prendevano in giro: l’addormentato, il ritardatario, erano i nomignoli coniati per il mio inghippo, Non me la presi più di tanto perché fui distratto dalla vista della ragazza del santuario che si era seduta proprio di fronte a me, vicino alle sue amiche. Tranquilla e disinvolta sembrava non essere imbarazzata dall’insistenza dei miei sguardi sul suo viso e calamitati dal piccolo Crocifisso che portava al petto. Ero sorpreso di come la sua fattura, lo stile, i colori, fossero identici a quelli del Crocifisso del santuario.
Lo indicai col dito.
“Bello, dove l’hai preso?”, mormorai.
La ragazza abbozzò un sorriso.
“Questo? Al santuario ne avevano in ogni bancarella” disse con aria sorpresa. Un regalo, è un regalo di mio padre prima che se ne andasse. Ci sono molto legata e non me ne allontano mai. E’ per me un amuleto, anzi più di un amuleto; mi fa sentire sempre vicina a mia madre e mio padre anche adesso che non ci sono più!”.
Abbozzai un sorriso come risposta, ma non seppi cosa dire.
Si balla
Possibile che non dicesse nulla dell’incontro al santuario?
Finito il pranzo, ci trovammo in un gran salone addobbato a festa dove una simpatica orchestrina eseguiva un incredibile repertorio di brani di ballo liscio e i gitanti s’improvvisavano ballerini. Danzavano anche Placido e Pietro. Io no. Stavo in silenzio fissando a distanza la ragazza.
Mi andai a sedere accanto a lei.
La festa impazzava e la gente accompagnava a voce l’orchestrina che sembrava esaltarsi man mano che l’euforia s’intensificava.
Placido e Pietro avevano agganciato due simpatiche dame le quali, svolazzanti, ruotavano attorno ai partner in preda a grande contentezza. Tutti cominciarono a declamare gli “olè” ogni volta che un cavaliere eseguiva una qualche figura attorno alla dama. Il clima si era infuocato e tutti avevano perso il controllo.
A mio vedere l’unica che non si divertiva, era la ragazza del santuario che era rimasta seduta, con espressione afflitta. Questa constatazione mi spinse ad avvicinarla e fu così che occupai la sedia libera al suo fianco.
“La posso invitare signorina? Non sono un gran ballerino ma tanto per partecipare alla festa…” dissi con impaccio.
“Mi spiace ma non amo il liscio, preferisco guardare, mi distrae e poi io, io non la conosco e lei mi arriva così e m’invita” fece lei con l’aria di chi è infastidita.
Rimasi sorpreso ma non più di quando, poco prima, durante il pranzo, ella stessa mi aveva ignorato.
E ora, chissà per quale oscuro motivo, continuava la parte.
Ero sul punto di arrendermi quando nel repertorio musicale ci fu un repentino cambio di genere con l’arrivo di un brano molto dolce e lento, l’ideale per un “tete à tete’” e fu così che ritornai alla carica per aprire un canale verso quella misteriosa ragazza.
“Mi chiamo Dario…”
“Ecco, mi presento, così non sono più uno sconosciuto”, furono le mie parole mentre in pista si formavano le coppie. “Mi chiamo Dario e le riferisco che sarebbe bello ballare con lei questo lento, sempre se… gradisce!”
Senza pronunciar verbo la ragazza si alzò dalla sedia, mi prese la mano e con delicatezza mi condusse al margine della pista, dove la musica non era assordante e arrivava gradevole e soffusa.
“Ecco, qui sì che si può dormire!” sussurrò. Poggiò la testa sulla mia spalla e chiuse gli occhi.
Mi sentivo preso in giro, ma tale idea mi appariva raminga in considerazione dei fatti del santuario. Pensai alla possibilità che mi fossi sognato tutto o magari a qualche elaborazione psichica dei miei conflittuali convincimenti religiosi. Onestamente ogni mia conclusione mi lasciava più perplesso che mai.

Sagoma di crocifisso
Osservai con calma il suo volto rilassato mettendolo in rapporto con quello dell’uomo sulla Croce in una sovrapposizione del tutto fedele e anche il pendaglio a Crocifisso che lei portava al petto mi richiamava emotivamente quei momenti vissuti o forse… sognati.
Accostai dolcemente la mia bocca al suo orecchio sinistro.
“E tu, sconosciuta, come ti chiami? Se me lo dici, non sarai più una sconosciuta perché ormai io non lo sono più per te!” dissi con un filo di voce.
Lei con grazia eresse il capo e mi sorrise, slargando le labbra in un’orizzontale dolcezza.
Riascolto
Io ascoltavo.
“Io non ho nome e sono destinata a rimanere una sconosciuta per te perché così è deciso; considerami una dei milioni di donne che non conoscerai mai nella tua vita e con le quali non avrai modo o voglia di interagire. Non sono e non sarò per te una sconosciuta invece per il messaggio che ti ho trasmesso e che è dentro questo simbolo che porto al collo. Messaggio che è disponibile per tutti gli esseri umani che siano recettivi e vogliano captarlo. Per te Dario, come prescelto, ha un significato più alto e nobile.”
“Prescelto?” domandai.
“Anche se ti ritieni un uomo comune, appartieni a una categoria speciale, come mio padre e come me, Dario, tu hai in te una serie di potenzialità umane incredibili che magari non spenderai per arrivare al successo o alla ricchezza ma che ti permetteranno di giungere alle persone e al loro cuore, per colmarne i vuoti. Come ho fatto io con te.”
Accennò un sorriso malinconico.
“Dovrai però abituarti a mantenere l’anonimato e muoverti con circospezione, poiché se scoprissero la tua potenza, molti cercherebbero di sfruttarla per cose meschine. O al più ti chiamerebbero mago o stregone. Per questo mi comporto così, una qualunque in mezzo agli altri, l’”uno” quando rimango sola o con l’essere con cui voglio interagire. Aspettati anche altre situazioni perché la mia missione non si esaurisce con l’umano, invero il più bisognoso dei viventi, ma riguarda anche animali e piante. Talvolta, per esempio, scendo nel la profondità degli oceani e mi parlo con balene e delfini, disperati per la distruzione che l’uomo sta operando nel loro ambiente”.
Senza spiegazioni
“Altre volte entro nelle gabbie, dove i visoni aspettano la morte per divenire pellicce di signore presuntuose, e racconto simpatici aneddoti per tirare su il morale. L’ultimo mio intervento è stato in una foresta di abeti in Scandinavia: stavano tutti morendo per la pioggia acida; ho spiegato a tutte le piante che nulla potevo per evitare l’infausta idrometeora ma ho tenuto loro compagnia impegnandomi a salvare almeno i loro cuccioli d’abete!”.
Ero meravigliato di quelle parole che mi giungevano al cuore e mi accorsi che la ragazza mi parlava con la mente.
“Una sorta di telepatia” pensai.
Forse avrei dovuto fare altrettanto. Ecco perché in taluni momenti non mi ascoltava: aveva bisogno di una vicinanza, come dire “privata” per comunicare.
“Da dove vieni?” chiesi mentalmente.
Mi rispose.
“Che importanza può avere? Sono stata concepita su questa Terra dai miei genitori ma mio padre percepì in me certe potenzialità e mi donò una parte del suo carisma, del suo potere. Esso in me si è accresciuto. Mio padre, a sua volta, lo ebbe da un’altra persona e così via fino al primo “elargitore” del carisma, Gesù Cristo. Quando lo crocifissero lui, decise di trasmettere questo potere ad alcuni umili che gli erano accanto, e da allora, in incognito, questa capacità viaggia di persona in persona in tutto il mondo per sostenere e aiutare, in incognito, chi ha bisogno.
Alcune guarigioni miracolose, senza spiegazione, grandi scoperte, misteri irrisolvibili sono opera di persone come noi; Sabin per esempio, elaborò il vaccino contro la terribile poliomielite salvando milioni di bambini. Sabin era uno di noi, aveva il carisma.
Dubbi
Ora devo lasciarti, Dario, Dammi un bacio sulle labbra e il carisma ti apparterrà, fanne buon uso…”.
Poggiai le mie labbra sulle sue e percepii la sua voce.
“Addio, Dario, ora sei uno di noi…” sussurrò.
La musica, non so quanto tempo dopo, ritornò al liscio e le coppie si sciolsero.
Io ero stanco, intontito.
Sentii la voce di Placido che si era seduto accanto a me.
“Bravo Dario, ho visto che ti è andata bene con quella mora, è veramente uno schianto di ragazza!“ esclamò eccitato. La sua pacca sulle spalle mi fece sussultare; mi alzai di scatto guardandomi intorno.
“Già, ma adesso dov’è, dov’è andata?” gridai.
Tutti mi guardavano.
Nessuno sapeva nulla e non rividi più quella ragazza. Lei si era eclissata, dissolta come una bolla di sapone, eppure tutti l’avevano vista non solo io.
Tornai a casa, portavo lei nella mente e non mi davo pace della sua scomparsa; neanche le ragazze del suo gruppo sapevano spiegarsi che fine avesse fatto.
Non avevo elementi per rintracciarla, neanche un nome. Poteva anche essere stato un sogno nel sogno.
A quel punto pensai fosse meglio andare a letto e sperare di dormire. Il sonno stentava ad arrivare e, mezzo intontito, andai in bagno. Fu allora che notai un pendaglio ondeggiante al collo, che emanava un policromo luccichio. Spalancai gli occhi e con mano ansiosa afferrai quell’oggetto metallico: era il Crocifisso della ragazza del santuario.
Aprii il rubinetto e misi la testa sotto l’acqua corrente.
La mia anima era calda ma quell’acqua freddissima.
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