Il giorno speciale
Il giorno speciale-racconto fantastico di G. Fassari.
La vita scorre lenta…
Per tutte noi arriva il momento in cui le ansie diventano incubi e si fanno carne, “carne e sangue…”.
Mammalion IX è un pianeta-mosca (fly-planet) appartenente alla Congregazione “Gineceus”, un’associazione che conta un centinaio di unità dislocate a poca distanza da una piccola luna di Saturno.
La Congregazione si creò migliaia di anni fa sulle ceneri della civiltà sviluppatasi sul terzo pianeta del sistema solare, la Terra. Allora, raccontano le sopravvissute memorie storiche e cibernetiche, si era verificata un’immane catastrofe, la propagazione selvaggia di un virus sfuggito ai laboratori d’ingegneria genetica di un centro americano e diffusosi rapidamente in tutto il globo. Come tutte le particelle virali presentava uno spiccato citotropismo, una forte affinità per i tessuti riproduttivi maschili in cui si moltiplicava con incredibile velocità. All’inizio si trasmetteva per via sessuale e gli scienziati dell’epoca rimasero sconvolti dall’estrema virulenza di quella forma mutante e la disperazione raggiunse il suo apice quando cominciò a diffondersi per via aerea attraverso gli starnuti e i colpi di tosse.
La sua azione distruggeva principalmente il cromosoma Y e di conseguenza la popolazione di spermatozoi col determinante maschile. La nascita di maschi si ridusse gradualmente anche perché sul pianeta i rari embrioni maschili che si formavano erano abortiti entro due – tre mesi.
Di lì a qualche anno fu l’ecatombe e i maschi divennero vere e proprie mosche bianche. Oggi il rapporto sessi alla nascita è di 1:1.000.000 a vantaggio del femmineo.
Piccole comunità di terrestri sono relegate su vari fly-planets e adibite all’estrazione della succedanite-Y, sostanza essenziale per tutta la Congregazione che lo utilizza per la costruzione di abitazioni, astronavi e robot. “Gineceus” appare come un mondo colorato di rosa pallido, tipico della succedanite-Y di scarto. Sì perché ne esiste una forma più pregiata e rara di colore rosso vivo, caratterizzata da una forte instabilità sul piano fisico che può passare facilmente dallo stato solido a una forma semiliquida molto simile a gel.
La mia famiglia, mia madre e le mie due sorelle, si trova su Mammalion IX da più di quindici anni ed è destinata a vivere qui per sempre. Ed io con loro.
In questi giorni assieme alla mia angoscia sono cresciute le attenzioni di tutti i miei familiari e conoscenti. Sono certa che dipende dal fatto che fra breve sarò adulta per le leggi vigenti su Gineceus. So già che fra tre giorni, non uno di meno, non uno di più, lascerò la mia casa e mi devo ben preparare all’incontro perché voglio sopravvivere, superare la prova e ritornare. No, non voglio fare la fine di tante ragazze scomparse nel nulla.

Un bimbo e l’universo
In questo piccolo sasso disperso nello spazio, dove la vita scorre lenta e noiosa, per la prima volta avverto l’attesa e il senso d’inquietudine che opprime la mia famiglia anche se tutti mi trattano come una dea intoccabile.
Soddisfano ogni mia richiesta, ogni mio desiderio, con un ossequio quasi regale.
Quanti dubbi in me questa notte, non riesco a riposare e, mentre tutti dormono, io cristallizzo domande oscure nel mio cervello. Una tra tutte: “Sarò… viva fra tre giorni?”.
Nella vita di una donna accade solo una volta di incontrarsi con la “cosa” della Thinghouse su Mammalion IX e solo la morte a questo punto poteva impedirmi quell’esperienza, solo la fine poteva estinguere quel forte malessere che mi sentivo addosso, anzi dentro, senza speranza di poterlo confidare a qualcuno. Arrivò il terzo giorno. Ed ero viva.
La Thinghouse
Le donne del servizio entrarono nella mia casa. Alte, calve e mute, m’indicarono il piccolo autobus che attendeva sulla stradina antistante alla porta di casa.
Non feci alcuna resistenza, sapevo che era inutile. Ci avviammo. Lungo la stradina, le persone si giravano per guardarci, qualcuno ci additava. Dopo circa un quarto d’ora l’autobus raggiunse una grande spianata verde, ricca di magnifici fiori colorati, un posto di paradiso, un incanto, un’eccezione nel paesaggio arido e roccioso di Mammalion IX. Al centro troneggiava una grande architettura bianca, forse di marmo, una sorta di castello medievale, con merli e torri. La porta principale era possente e metallica. «Ci siamo, ecco la Thinghouse!» esclamò mia madre, fino a quel momento silente, immobile in fondo al veicolo. La guardai in viso. Era inespressivo.
Scendemmo e fui sottoposta a identificazione dopodiché mi invitarono a percorrere un viottolo nel prato che si apriva verso la porta metallica: iniziava a schiudersi cigolando come un meccanismo vecchio.
La mamma e le mie sorelle mi abbracciarono forte e dopo un bacio di commiato m’incamminai sostenendo lo sguardo di mia madre man mano che m’inoltravo. Era ancora distaccato e distante: la cosa mi diede un certo fastidio. Abbassai lo sguardo e lo rivolsi davanti a me, al mio destino.
I miei passi erano piccoli e lenti, avevo la sensazione che su di me incombesse un agguato, ma sapevo che era solo puro timore dell’ignoto.
Nell’aria muta cominciarono a echeggiare le dolci note dell’Ave Maria di Schubert e con loro la mia tensione si ridusse parecchio. Era piacevole e rassicurante riascoltare la musica di quell’aria che mia madre metteva quando ero piccola per farmi addormentare.
Fui circondata da un forte profumo di fiori freschi che inebriò i miei sensi quasi impedendomi di pensare. Davanti a me apparve un lungo tavolo bianco con numerosi bicchieri di brillante cristallo che mostravano il loro colorato contenuto. Risposi all’arsura emotiva e ingollai quei nettari aromatici e freschi. Nella mia testa all’ansia si andava sostituendo un leggero stato di confusione misto a euforia. Il cuore pulsava forte nel mio petto come se volesse esplodere. Poi lo sentii bussare nel collo mentre il mio respiro era divenuto ansimante e corto come il mio passo. Forse cominciavo a perdere il controllo di me… forse era paura. Allora mi ritrovai immobile: esausta e rassegnata, chiusi gli occhi e pensai a mia madre:
«Respira profondo e socchiudi gli occhi…» mi diceva sempre. «Così ti predisponi all’accettazione dell’inevitabile e il difficile diventa facile!».
Niente accadde per uno-due minuti… poi una delicata pioggia si abbatté su di me. Il suo crepitio si estinse presto per riprendere con maggior foga. Ma non mi bagnavo… aprii gli occhi e scorsi migliaia di granellini di riso attorno a me, su di me… «Riso, piove riso…» sussurrai a me stessa.
Non so come ma quella sorpresa mi diede coraggio e ripresi a camminare lungo il sentiero. Superata la grande porta, arrivai presto in una grande sala poco illuminata da una calda luce rosa. Ricominciai ad avere paura e presto conobbi l’orrore della luce che gradualmente scompariva.
La sala rimase nell’ombra per lunghi attimi. Rallentai il respiro.
I miei occhi, evidentemente abituatisi alla semioscurità scorsero una gigantesca figura rosso intenso. Era umana, seduta con le mani poggiate sulle possenti cosce. Non scorgevo il viso ma i balenii dei suoi occhi che erano mobili come quelli di un camaleonte e mi osservavano, m’inseguivano in ogni mio movimento, senza regalare qualsivoglia espressione. Sì, mi studiavano. Sembrava una statua in succedanite-Y del tipo superiore, il prezioso elemento estratto raramente nelle miniere di Mammalion IX. Ebbi la sensazione che l’enorme figura si muovesse. Lentamente le sue possenti ginocchia si allontanavano l’una dall’altra. Rimasi attonita.
Mi sentii alzare le vesti con delicatezza e le mie gambe si allargarono come spinte da una forza invisibile. Compresi che era il soffio potente di un’energia tangibile e determinata che scaturiva dalla statua cremisi.
Inutile fu ogni mia resistenza. Per la verità non saprei dire se ci fu perché mi abbandonai all’ignoto. Fu allora che sulla grande figura vidi materializzarsi l’io maschile, l’unica e sola andro-essenza di Mammalion IX. Si muoveva verso di me, come un serpente gelatinoso, modificando plasticamente la sua forma più volte e mi cercava, oscillando nell’aria, ondeggiando. Mi trovò, dolce e inesorabile.
In quegli attimi cancellai la mia singolarità e divenni l’incarnazione di tutte le donne di “Gineceus” davanti alla rinascita dell’essenza maschile, dell’Y perduto.
Tornai indietro, ai tempi in cui uomini e donne camminavano sulla Terra, liberi di amarsi e in quegli istanti mi sentii amata. Nell’incoscienza percepii il piacere della globalità compiuta del mio corpo, dell’essere donna e futura madre, il senso dell’antico eden terrestre che l’uomo aveva perduto. Compresi gli altri universi e mi abbandonai a quel primo e unico incontro d’amore.
“Come si sta bene qui!”
Mi chiamo Eva ed è passato un mese da allora. Io e la mia famiglia abbiamo lasciato Mammalion IX, adesso ci troviamo sul pianeta Terra, in un bellissimo posto chiamato Florida.
«Come si sta bene qui! C’è anche un’immensa distesa salata dove si pratica il salt-surf e non devo pensare a nulla!» gridai a mia madre e alle mie sorelle.
Le donne fecondate, le madri, le rare madri di “Gineceus” hanno diritto a due anni di vacanza sul loro pianeta originario, la Terra.
Qui abbiamo tutte le comodità, non ci manca nulla.
Le analisi peraltro parlano chiaro, sono incinta di due bimbe.
«Ho diritto a ben quattro anni!» esclamai con gioia.
Tra otto mesi sarò madre di due sane e belle femminucce. Le educherò bene, cresceranno e le preparerò con amore al loro giorno speciale, quello del loro matrimonio, lì nella Thinghouse di Mammalion IX.
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