IL MISTERIOSO SITO DEL PROF. GIUSEPPE FASSARI

Il fato dell'uomo nel tempo e nell'immaginario

Una magica storia paesana

Una magica storia paesana-racconto di G. Fassari

Puntuale come ogni giorno, Antonio Torre aveva lasciato il posto di lavoro, destinazione Mamaiolo, piccolo paesino collinare del messinese, dove lo attendevano moglie e figli. Quasi un’ora di macchina lungo i ripidi tornanti dei monti Peloritani, sul versante Tirrenico, una tortura quotidiana che da anni abbreviava con una scorciatoia che un amico gli aveva insegnato.

Questi ormai era stato trasferito ma per Antonio Torre proseguiva la routine quotidiana e quei venti minuti risparmiati erano un gruzzoletto troppo allettante per rinunciarvi, specie ora che era inverno e le giornate più corte accrescevano la voglia di starsene tranquillo al calduccio.

Il paesaggio era bello e l’aria così fresca da farlo viaggiare col finestrino aperto; lì tutto aveva una forte selvaticità, la natura esibiva la sua forza dirompente specie quando si alleava con la pioggia e gli aguzzi rilievi delle montagne si permeavano d’infiniti rivoli. Ogni cosa era trascinata a fondovalle e la secca fiumara petrosa incendiava di forza trascinante il suo letto rovinoso.

La radio faceva compagnia con le sue canzoni e il DJ era bravo; con le telefonate in diretta entrava in contatto con tutta la provincia preferendo le massaie intente a preparare la cena. Il piede poggiava sul freno in modo automatico lungo la contorta discesa, ogni curva non aveva segreti per Antonio che conosceva quella strada a memoria. Due o tre volte lo aveva fatto dormendo.

La fretta verso casa

Quella era una sera particolare.

Dal cielo buio e senza luna scendeva una pioggia nera come pece ma per fortuna i fari dell’auto facevano bene il loro dovere perché altrimenti Antonio Torre avrebbe già dovuto fermarsi e ormai mancava così poco a casa, dieci-quindici minuti al massimo, e se andava veloce potevano essere sei-sette…

Per questo Antonio Torre schiacciava il piede sull’acceleratore; i freni stridevano ogni volta che il pedale scendeva a fondo. Anche un forte languore allo stomaco lo invitava a sbrigarsi nella convinzione che quello passato sulla strada fosse tempo sprecato. 

L’esigenza primaria era una doccia calda che lavasse via la fatica dell’ufficio per poi godersi un po’ di sano riposo con moglie e figli. Domani sarebbe stato sabato e avrebbe potuto dedicarsi alla sua vera passione: l’apicoltura.

La pioggia era divenuta torrenziale e la visibilità nulla.

“A casa saranno preoccupati. Forse sarebbe bene fermarsi, accostare ai bordi della strada e aspettare che smetta” si disse. 

Intanto la radio mandava un classico della tradizione canora italiana, “O Sole mio”.

“Questo DJ deve essere uno spiritosone oppure cieco”, pensò. “Meglio cambiare frequenza. Ecco qui una voce calda…”

“Sì, siamo di nuovo al momento delle telefonate in diretta che continuano ad arrivare, numerosissime, a Radio Mamaiolo” strepitava la radio. “Argomento di discussione, la coppia e i suoi problemi, già ne abbiamo parlato col nostro esperto, il dottor Mendola, il quale ha dato utili consigli per gestire e superare crisi e difficoltà. Chi c’è in linea?”

“Pronto…” fece una voce femminile, timorosa e incerta. “Sono la signora Stefania, sposata da quasi vent’anni, con figli. Non ho mai tradito mio marito; ora però, da circa sei mesi, ho incontrato un uomo più giovane di me, mi corteggia, mi fa dei regali e poi è così carino e ha scatenato una tempesta, dentro di me, risvegliando passioni ormai dimenticate o forse solo assopite. Sono in crisi, non so che fare, mio marito non merita questo ma sento che nonostante le resistenze cederò alle lusinghe di questo giovane. E poi quando guardo i miei figli, quasi mi vergogno di me… spero di farcela ad allontanare quest’uomo.

Piangere fa bene

Brevi singhiozzi accompagnavano le sue parole.

“Signora, sono il dottor Mendola; quello che sta vivendo accade a molte persone dopo tanti anni di matrimonio, la noia, le scarse attenzioni del coniuge spingono la fantasia verso territori di trasgressione, dove vigono peccato e passione, talvolta Š quasi fisiologico, anzi positivo se si sanno gestire le fantasie nel giusto modo; non è necessario che si colpevolizzi se pensa a un altro o cerca coccole, passerà, e non ci sarà alcuna  crisi. Non si preoccupi, mi ascolti…”

“Ha ragione dottore” disse la donna. “Soltanto che io mi conosco e penso a queste cose soltanto quando sono davanti a un baratro. Non cerco mai, per mio carattere, qualcuno che mi tiri via dai guai, vede io sono una che ama cavarsela da sé!”

Antonio Torre alla guida dell’auto sotto l’acquazzone, pensava alla sua doccia ma quel frammento di discussione radiofonica non lo aveva lasciato indifferente, specie la voce commossa di quella donna sull’orlo del tracollo. Avrebbe voluto inserirsi in quella discussione e dirle che il dottore aveva ragione e che quello che viveva era solo un momento di stanchezza in cui nulla sembra bastare e si cerca allora qualcosa, senza sapere cosa sia. Poi un giorno ti alzi, prepari il caffè al marito, guardi i tuoi figli e tutto sembra essere stato solo un incubo.

L’avrebbe voluto dire alla signora Stefania.

Anche alla sua amica Antonella era successo qualcosa di simile ma poi la tempesta col marito era finita e il sereno era ritornato, eppure Antonella era stata disperata, da quando si era accorta d’essersi presa una sbandata per il suo istruttore di body-building…

Nubifragio

“Chissà quante donne e uomini” pensò Antonio “vivono situazioni apparentemente così drammatiche solo perché interpretano male i normali momenti di stanchezza della coppia. Per fortuna io non ho di questi problemi. Mia moglie è una donna sì complicata; come quella alla radio vuole cavarsela da sé, ma è tanto equilibrata. Potrebbe apparire difficile rimuginare mentre fuori si sviluppa un tale nubifragio, ma Antonio, da sempre pensatore “estremo”, era capace di riflettere nelle condizioni ambientali più difficili e impervie grazie agli anni di yoga e di self-training condotti da autodidatta.

Le gocce erano enormi e ben presto si trasformarono in grossa grandine che i tergicristalli stentavano a rimuovere per cui Antonio si spinse avanti sul sedile per avvicinarsi il più possibile al parabrezza e vedere qualcosa in più. La visibilità era ormai scesa paurosamente e fu contento, quasi sollevato, nel riconoscere, ai margini della strada, il grande Crocifisso che segnala gli ultimi dieci chilometri.

“Fra dieci minuti sarò a casa” pensò.

Quante persone saranno in macchina, sotto la pioggia torrenziale, in questa zona? Parecchie sicuramente, ma a quante può accadere qualcosa di spiacevole? Statisticamente a pochissime, a uno forse, a nessuno più probabilmente.

Antonio era in debito evidentemente col destino perché quando la strada sembrava più facile, in discesa, qualcosa di brutto stava per accadergli. Lui che era così riflessivo non aveva previsto che a furia di schiacciare il pedale del freno, con tutta l’acqua che era scesa giù, il meno che poteva accadere era che l’auto non rispondesse bene su un tornante dall’asfalto fangoso. E non poté far nulla se non, istintivamente, tirare il freno di stazionamento e accollarsi al sedile richiamando rapidamente la cintura di sicurezza. 

L’auto scivolò sul suolo viscido e incoerente, spezzò un muretto protettivo e scivolò sul suolo viscido e incoerente, spezzò un muretto protettivo e Antonio poté osservare, passeggero impotente, il suo volo libero giù nella scarpata senza luce. La caduta durò pochi secondi in cui pensò a tante cose, ma tutte insieme, confuse, senza ordine e discriminazione alcuna, come se la vita fosse un caleidoscopio in cui il caso doveva ancora elaborare l’immagine finale, la morte. Poi il tonfo metallico, alla base della scarpata, indi il silenzio e la fine, la fine di Antonio Torre, cittadino di Mamaiolo.

Nel tedio della vita paesana il sabato pomeriggio rappresenta uno spazio destinato allo svago ed in particolare alla “passeggiata” lungo il corso principale. Mamaiolo è un piccolo centro, orgoglioso delle sue tradizioni e anche la passeggiata del sabato deve considerarsi tale. La gente è semplice e lavoratrice, costituita per buona parte da persone anziane giacché, a causa dello scarso lavoro, i giovani emigrano chi a Catania, chi a Messina per tornare il sabato in tempo per la sgambata lungo il corso. Qualcuno frequenta l’Università di Messina o è libero professionista ma il sabato è un rito da non mancare.

Lungo il corso sono nati e cresciuti gli amori di questo paese e tessute le relazioni più difficili, sempre sotto gli occhi vigili di futuri suoceri. Già, Mamaiolo è ancora un paese del profondo sud, dove i ragazzi scappano, cioè fanno la fuitina a sedici anni senza neanche conoscersi bene e dove la gente ha come hobby principale “Beautiful” e il curiosare nei fatti degli altri. 

Le bellezze del paese

Qui c’è però una splendida cucina con i suoi piatti succulenti e saporiti come “U stoccu du Mamaiolu” che si distingue da quello più noto “Alla messinese” per l’aggiunta di grossi pezzi di tonno nel sugo che lo rendono più saporito. E l’ottimo pane, cotto in forno con aromi mediterranei come rosmarino, salvia e lentisco che arrivano su dalla costa tirrenica e viene mangiato così com’è, senza companatico. I dolci di Mamaiolo, poi, sono una leccornia, molti a base di miele e di creme di ciliegia e albicocche. Le chiese sono vuote tutti i giorni, tranne la domenica quando per strada non rimane anima viva e la gente vi si affolla per il rito festivo.

Un paese un po’ ipocrita per certi versi, ma molto umano per altri, come dimostra il gemellaggio con una cittadina sovietica colpita dal disastro di Chernobyl che consente ogni estate il soggiorno gratuito a una cinquantina di piccoli russi. L’anno scorso un bambino locale si è sottoposto a un delicato intervento per donare il midollo a un suo coetaneo sovietico.

Nascere in paese

Al reparto Ostetricia dell’ospedale di Mamaiolo i medici si prodigano per salvare il bimbo di Rossella Aiello. Tutto sembrava procedere per il meglio, la gravidanza non aveva presentato alcun problema per cui l’improvviso ricovero della signora per emorragia, era stato a dir poco inaspettato.

Rossella Aiello non era una qualunque a Mamaiolo in quanto, anche se di modesto livello culturale, possedeva un vasto fondo agricolo dove si produceva il miglior vino della zona; era balzata alle cronache due anni fa per aver ricorso alla fecondazione in vitro alla non più verde età di cinquantanove anni, ma i fatti erano chiari per lei e il marito: dopo oltre trent’anni di matrimonio non erano arrivati figli e la sola possibilità aveva attivato tutte le energie  e risorse della coppia che grazie all’intervento di un famoso ginecologo di Roma, era arrivata all’atteso risultato e la donna era finalmente incinta. Il guaio era adesso il fatto che la rottura delle acque e le avvisaglie del parto cadevano al sesto mese circa di gravidanza e su un corpo, quello di Rossella Aiello, non più propriamente giovane e quindi a rischio di qualche complicazione.

Il marito la assistette anche se molto preoccupato:

“Dottore, mi dica, ci stanno problemi ?”

Nascere

Il primario sudava e si muoveva con nervosismo; a un certo punto indicò ai medici collaboratori di prepararsi al parto:

“Se proprio vuole nascere in anticipo, facciamolo venir fuori!” esclamava confuso ma determinato mentre dava le indicazioni ai suoi colleghi.

L’intervento durò una ventina di minuti dopodiché’ il figlio di Rossella venne al mondo. Un bel bambino prematuro di circa due chilogrammi, rosa, quasi del tutto privo di capelli tranne che per un ciuffo sulla parte alta della fronte, somigliantissimo alla madre, ma che non ne voleva sapere di emettere il primo vagito, di attivare i polmoni, insomma.  Il bimbo, dopo un silenzio di circa cinque minuti, che preoccupò tantissimo i medici per le possibili conseguenze di tipo ipossico, finalmente pianse e i suoi genitori coi medici sorrisero:

“In anticipo sulla nascita, in ritardo quando si tratta di piangere. Che bel tipo… Mettetelo in incubatrice, facciamolo crescere il signorino.

Dono di natura biologica

Nella banca del seme il nome del donatore è top-secret e tale deve rimanere; d’altra parte è anche vero che la coppia fruitrice quasi mai manifesta il desiderio di conoscere il nome del padre biologico per essere più libera moralmente.

Il senso dell’umorismo non mancava al reparto Ostetricia dell’ospedale di Maimolo.

In realtà era voce di popolo, si vociferava in paese, che l’unico donatore di seme nel paese, che era invece poco disponibile su questo piano forse per una serie di tabù non superati, fosse Antonio Torre che lo considerava uno dei suoi grandi impegni sociali per cui viveva.

Ai funerali di Antonio Torre era presente tutto il paese che lo aveva conosciuto e apprezzato come un professionista che alto aveva tenuto il nome di Mamaiolo come uomo, padre e marito, serio e irreprensibile, mai assente alla messa della domenica e miglior produttore di miele dei dintorni. Corone di fiori variegate seguono il corteo funebre che procede a piedi.

In corteo

A Mamaiolo è ritenuto onorevole per il defunto percorrere il tragitto che va dalla chiesa al cimitero per cui solo i vecchi e i malati hanno trovato posto nelle auto e sull’autobus che, in queste occasioni, il comune mette a disposizione. Qui matrimoni, nascite e funerali sono eventi fondamentali di aggregazione sociale cui partecipa l’intera cittadinanza.

In prima fila la moglie, signora Franca e i suoi due figli, Primo e Antillo, in strettissimo lutto, affranti, versano lacrime salate per un dramma inaspettato, consumato in un pomeriggio di pioggia torrenziale. Il tempo è ancora cattivo, non promette nulla di buono e un cielo plumbeo e nuvoloso fa da soffitta alla triste processione. La cerimonia, le parole del parroco e poi i paesani si polverizzano raggiungendo frettolosamente, visto che il tempo regge a stento, le proprie abitazioni.

La signora Franca è rimasta sola con i figli e finalmente arrivano tutti a casa, una delle case più belle di Mamaiolo, costruita con grande perizia e gusto su una rocca calcarea ricca di pini e querce secolari. Una casa molto grande con tantissime stanze che il marito defunto aveva ereditato dal suo vecchio padre, una persona un po’ “speciale” secondo quanto raccontano gli anziani di Mamaiolo.

Cose insolite

Alcuni sostengono che si trattasse di un tipo dalle abitudini molto strane.

Al paese si faceva vedere raramente e solo al tramonto. Conduceva una vita solitaria; alcune persone lo temevano perché gli riconoscevano poteri magici e in particolare di dare e togliere il malocchio.

La casa era stata ereditata da Antonio con tutte le sue bellissime cose: quadri, argenterie, arazzi; una vera e propria casa patrizia che valeva numerosi miliardi e soprattutto la ricchissima biblioteca colma, oltre che di libri, di tutta una serie di oggetti che il padre aveva portato dai numerosi paesi che aveva visitato. Spiccavano particolarmente gli oggetti macabri come maschere funerarie haitiane o teste rimpicciolite di tribù africane, tutti oggetti di dubbio gusto che creavano un’atmosfera inquietante che il vecchio padre definiva di “energia e potere”.

Eppure Antonio Torre aveva voluto continuare a lavorare piuttosto che vendere un quadro, magari, e vivere di rendita. Viveva per educare i figli ed il messaggio di sacrificarsi e continuare a lavorare, anche senza averne bisogno gli sembrava un messaggio pedagogico di grande pregnanza specie per due figli discoli e ribelli come quelli che si trovava.

Arrangiarsi

Primo e Antillo erano cresciuti senza un senso del denaro e lo sperperavano con disinvoltura dileguandolo in insensati acquisti e attività poco chiare. Avevano abbandonato la scuola nei primi anni delle superiori e l’intera Mamaiolo li conosceva come due nullafacenti con poco sale in zucca, adepti di una vita “menata” alla grande pensando all’oggi e mai al domani.

Due giovani dal futuro incerto e molto allettati dal “facile con poco”; l’intero paese spesso chiacchierava anche del loro furto di un prezioso quadro nella casa paterna che poi avevano cercato di rivendere a un ricettatore; i genitori avevano poi ritirato la denuncia ma per mesi e mesi avevano dovuto vivere la vergogna e subire le critiche di un intero paese. La colpa di questo fallimento era addebitata alla madre che invece l’attribuiva ad Antonio; insomma era un continuo scaricabarile.

Avere un figlio

In effetti la signora non li aveva saputi tenere fin da piccoli quando per interi pomeriggi li parcheggiava davanti alla TV per giocare il pokerino con le amiche o dedicarsi alle terapie di bellezza presso l’unico Beauty-center di Mamaiolo. Inoltre perdeva e spendeva ingenti somme, la signora Franca, vivendo di gran lunga al di sopra delle possibilità del marito che di tanto in tanto doveva controvoglia vendere qualche pezzo pregiato.

Il suo grande pallino, il suo maggiore desiderio, e ne parlava sempre, era avere un figlio, ciò l’avrebbe fatta sentire sempre giovane ma ormai aveva perso speranze perché quel tempo era passato. Proprio il confronto con la menopausa rappresenta per ogni donna un momento molto difficile in cui il mondo fino ad allora faticosamente costruito sembra come creparsi, venir meno, assieme alla propria sessualità ed alla capacità più o meno conscia di attrarre il marito o più in generale l’altro sesso.

Con la morte del marito questa paura era montata generando nel suo cervello universi di paure e smarrimenti senza confini.

Certo c’erano i due figli ma ormai erano così ribelli e non sembravano esserci spiragli nel dolore.

Le corna di paese

Quello che la sorprendeva dandole anche fastidio era che il funerale si era concluso da appena qualche ora e già pensava al suo futuro. E il dolore? Quello per la verità lo gestiva bene, anche perché non era tanto; da anni ormai il suo sentimento si era arreso all’abitudine e travasato nel mondo di altri uomini. Non si poteva parlare di veri e propri tradimenti in mancanza dell’abbandono fisico ma di “corna mentali”, se così si può dire, perché vissuti sul filo telefonico o a mare, d’estate e ovunque si potessero creare occasioni compensatrici del vuoto sentimentale che stava vivendo con Antonio.

Lui non si era mai accorto di nulla, preso com’era dal lavoro e dal difficile rapporto con i figli e poi, per sua natura, era un tipo portato a non considerare, a non vedere, un vero cieco del “peccato”. Un uomo più portato a pensare che ad agire, forte di cervello ma debole di braccio. Ecco perché la sua morte le aveva determinato solo un senso di malinconia come quando un vicino di casa se ne va per l’ultimo viaggio.

A casa nessuno cenò ma tutti si abbandonarono, senza neanche svestirsi, sul letto e sprofondarono in un sonno profondo. L’ultima ad addormentarsi fu lei, Franca.

Ricordi

Erano le tre o le quattro e ripercorreva le tappe della vita con Antonio: la conoscenza a Messina, il corteggiamento, il fidanzamento, il matrimonio ad Antennammare, il viaggio di nozze al bosco della Ficuzza vicino a Palermo. Quanta felicità era passata sotto il suo ponte prima che tutto si spegnesse con la nascita del secondo figlio e l’incontro con un medico galante.  Attratta da quell’uomo si era allontanata dal marito arrivando a simulare una grave forma di cefalea per evitarne ogni vicinanza. E Antonio la comprendeva e spendeva fior di quattrini per sottoporla alle cure a Napoli, dove in realtà s’incontrava con quel medico affascinante che le era entrato nell’anima.

Questi pensieri le frullavano nella mente e in certi momenti fitte di vera cefalea alle tempie le davano atroci sofferenze. Al calare spontaneo delle palpebre comprese che finalmente l’amico sonno stava per giungere e ciò le diede un attimo di tranquillità.

La prima parte della notte era trascorsa quando Franca si trovò seduta sul letto, sudata e nervosa, senza alcuna possibilità di riprendere sonno. Allora si alzò e raggiunse la stanza dei figli: dormivano dopo quel giorno estenuante. Il pensiero di Antonio, in quel momento, fu intenso e, intontita dalla ridda di pensieri, si trovò nello studio di Antonio, dove tutto era in ordine, specie la scrivania con due belle cornici in argento che esibivano la sua foto e quella dei figli ancora piccoli. 

Interessi e passioni speciali

Franca si avvicinò all’imponente sedia, quasi un trono, che lei aveva regalato al marito e si mise a osservare l’enorme quantità di libri sugli scaffali. Antonio era stato sempre un grande lettore e nonostante il suo noto realismo era appassionato, come il vecchio padre, di religioni, culti misteriosi e leggende, fondate su dottrine esoteriche e ipotetiche civiltà sconosciute. Su quelle cose peraltro nessuno gli dava da parlare se non per deriderlo e neanche lei l’aveva mai considerato più di un inoffensivo, strano hobby.

Il libro chiuso

Guardando la biblioteca di Antonio con i suoi volumi disposti ordinatamente, Franca stava quasi ricadendo nel sonno. Si ritrovò sul comodino l’agenda di Antonio, una vecchia agenda dalla copertina in pelle marrone, in cui, come segnalibri di fortuna, stavano alcuni pezzi di carta.

spirito-nella-notte Una magica storia paesana
Fantasma o sogno?

Aprì così una delle pagine segnate e, anche se poco lucida, cominciò a leggerne il contenuto.

“Le mie ricerche hanno finalmente superato il momento di stallo che durava da parecchi anni. Sono molto vicino all’obiettivo finale per il quale ho preparato una serie di elementi che finalmente sembrano essere al punto giusto. Sono vicino a comporre il mosaico cui io e mio padre abbiamo dedicato l’esistenza. Da oltre di quindici anni m’impegno in molteplici attività umanitarie e d’interesse sociale perché posso catturarvi le energie positive degli esseri sofferenti. Nello stato di dolore esse si liberano in quantità enormi e possono portarmi grandi capacità, fino a oggi esclusive dei Grandi Inizia

Io le inseguo fin da quando, ancora piccolo, osservavo gli esperimenti e le ricerche di mio padre. Tutti lo consideravano folle ma lui era un genio dell’esoterico, un uomo che si è avvicinato alla Grande Conoscenza. Ai suoi studi mi sono dedicato anima e corpo trascurando persino la famiglia e mia moglie, in particolare, che da qualche tempo se la intende con un giovane medico. Lei pensa che io non mi sia accorto di niente; in realtà da tale rapporto anomalo e dal suo stato di conflitto, ho incamerato, succhiato una grande quantità d’energia che sarà utile al momento del grande salto.”

A quel punto ogni residuo di sonno aveva abbandonato Franca che sentiva il suo cuore battere come un pendolo ossessivo anche alla fronte e nel collo.

Proseguì la lettura.

“I grandi Iniziati, Gesù, Krishna e Buddha conoscevano il segreto della vita e della morte ed io ho dedicato i miei studi alla comparazione della loro parola. Già mio padre dalla testimonianza di un negromante conosciuto in un viaggio in Egitto, cinquanta anni fa, durante la visita dell’antica città di Tebe, l’odierna Luxor, si convinse dell’esistenza di una “porta energetica” posta tra l’aldilà e questa vita. Nella morte l’energia vitale si azzera perché la parte corporea, carica al massimo alla nascita, comincia a deteriorarsi e, nel trapasso, supera la soglia di quella porta…”

buddha Una magica storia paesana
Statua di Buddha

Riprese fiato con un lungo respiro.

Ritornare

“Ho avuto conferma, dallo stesso negromante, con cui ho un fitto rapporto epistolare, dell’esistenza di un rituale ricavato da un antico testo esoterico in suo possesso; ora è nelle mie mani, conosco il segreto della “porta” tra la coscienza e la sua assenza, ho individuato gli elementi fondamentali per sconfiggere la morte e ritornare. Il requisito fondamentale che richiede più tempo è concentrare su di me quanta più energia vitale possibile, riunire, attraverso un particolare rituale di “estrazione”, tutta una serie di emozioni, dolori, gioie che le privazioni e la sofferenza scatenano.”

Sembrò che piangesse.

“In tali “stille emozionali” ogni essere umano riacquista la primordiale valenza di bontà che aveva prima che nascessero l’egoismo, il peccato, la sopraffazione, quando tutti erano felici nell’Eden. Tutti allora, dall’uomo alla rosa, dal leone alla farfalla, erano Iniziati e potevano scegliere di morire o vivere per l’eternità e persino di ritornare sotto altre forme. Tutti i dati delle mie indagini nonché la collezione di lettere sono nel cassetto dell’armadio; la chiave è dentro il vaso d’alabastro verde che riproduce l’effige di mio padre.”.

Una frenesia si era impadronita di Franca che si trovava di fronte a una realtà inimmaginabile.

Pensò a una sorta di follia del marito che, a furia di darsi a quelle letture, si era creato un universo alternativo; prese la chiave dal vaso e si accinse ad aprire il cassetto.

Un forte odore d’incenso salì non appena girò la chiave nella toppa, poi un certo timore, un nodo di freddo nervosismo, prese posto nel suo stomaco.

“Aprire o no?” si chiese,

Tirò nervosamente il cassetto. Aprì. C’era solo cenere, una cascata di cenere da cui emergeva un biglietto redatto con l’inconfondibile grafia di Antonio.

“Questa cenere rappresenta il disfarsi del corpo, queste parole dimostrano l’immortalità dell’anima e della mente: Polvere non fui e polvere non tornerò. Anche quando questa carta, nel tempo si sfalderà, le sue sacre parole vivranno, sino a che la materia sarà in grado di divenire pura energia e viceversa, per sempre fino alla notte dei tempi”.

Inquietudine

Franca ebbe paura per quella che le sembrava un’abietta bestemmia e si fece il segno della croce.

Un brivido freddo le scese lungo la schiena facendo sussultare il suo corpo che finalmente si mosse da quella situazione di stallo. Allora, terrorizzata, emise un grido isterico e liberatorio, prese l’agenda e chiuse a chiave la stanza dalla quale uscì di corsa. LEGGI IL SORPRENDENTE FINALE