L’attesa di Anna
L’attesa di Anna-racconto di G. Fassari

“E’ tutto finito, tutti i sogni hanno una fine e il nostro è giunto al capolinea!” Con queste parole Anna mi aveva lasciato.
Eravamo alla stazione. Pioveva a dirotto.
E con lei se n’era andato anche l’ombrello. Con lei si era sgonfiato un sogno durato otto anni, quelli giusti perché si laureasse lasciando uno spiantato come me. Senza il becco di un quattrino.
Non dimenticherò mai quella stazione. Anche perché ci lavoro.
Allora facevo il cuccettista sui treni, fornivo cuscini e lenzuola ai viaggiatori. Il mio impegno era utile a far trascorrere notti tranquille a un’utenza modesta che pendolava tra il nord e il sud della penisola. Una notte fui scoperto in un compartimento a rovistare nella borsa di una vecchia signora. Furono inclementi. Persi il posto.
Oggi lavoro ancora alla stazione ma come ambulante. Vendo bibite e biscotti. Appena vedo un treno che si avvicina, mi metto sotto i finestrini e soddisfo le richieste. Mi chiedono di tutto, specie quello che non ho.
Sono ormai passati tanti anni da quel giorno di pioggia ma sento ancora addosso il fradicio liquido e le lacrime che mi rigavano il volto confondendosi con le stille che precipitavano dal cielo. Avrei dovrei ringraziare Dio che mascherava il mio dolore ai suoi occhi. Ricordo come fosse oggi quel lampo nel cielo, espressione di un’energia sorella della mia rabbia. Si muoveva in me come una serpe velenosa si scuote in un sacco.
“E’ tutto finito, devo rassegnarmi…” era il mio pensiero ricorrente, quasi ossessivo, allora. Poi a furia di pensarci quel ricordo si era poco a poco esaurito riducendo il suo carico di dolore. Dimenticai le sue lunghe unghie laccate, il suo profumo avvolgente, il suo linguaggio semplice e signorile. Allora studiava lettere.
Come ero e come sono
Ora magari faceva la professoressa, me ne parlava tanto, allora, era il suo sogno! Ed io ero “il bibitaro”, senza speranze nel futuro, con un presente modesto e incolore, senza mordente.
Come unico svago la frequenza di un biliardo. Ero tra i più bravi con la stecca. La gente si soffermava con ammirazione a osservare i miei colpi prodigiosi, impossibili e soprattutto la mia originalità nel colpire la palla: tenevo la stecca usando come appoggio il polso con la mano piegata verso il basso. Ero bizzarro e creativo, come piaceva a lei. Ogni tanto andavo a prostitute, così per sfogo fisico, un modo di sublimare l’ansietà, erano incontri privi di slancio, di dialogo, di promesse e di baci. Con lei invece c’erano, eccome se c’erano.
“Sono troppo nostalgico, dico di non pensarla ed eccomi col suo ricordo. Maledizione!” pensò incazzandosi.
Stasera piove, uno strano piovasco agostano, prima avvisaglia di un’estate in agonia pressata alle calcagna da nubi e offuscamenti autunnali. L’impermeabile mi protegge bene e il cellophan impedisce ai miei prodotti di annegare.
“Caffè caldo…”
Ecco, ecco il treno!
“Coca cola, biscotti, caffè caldo…” urlavo, automaticamente, con la testa altrove.
Il treno si arrestò stridendo come un pachiderma sullo slancio di una lunga corsa.
“A me un caffè caldo, per favore!” fu la prima richiesta.
Cazzo, era lei, la laureata! Provai vergogna, cercai di nascondermi nella scura, grande impermeabile ma fu inutile perché mi riconobbe: “Ehi, Giorgio, guarda un po’…” disse con voce stentorea. “Come stai?”
Imbarazzatissimo versai il liquido scuro nel bicchiere e glielo porsi.
Lei lo bevve.
“E’ buonissimo, lo fai tu ?”
“Già… proprio così” dissi quasi balbettando.
Lei proseguì disinvolta.
“Mi sto recando a un congresso, sai di quelle megariunioni per specialisti! Ora insegno, sono docente di Storia all’ateneo di Napoli. Purtroppo l’aereo era pieno e ho dovuto dirottare sulla rotaia. E tu come stai ?”
“Insomma, molto bagnato ma bene!” dissi a bassa voce guardandola affacciata al finestrino del vagone.
Il treno si mise in movimento e portò via Anna che mi salutò con la mano.
La ricambiai con un’immobile postura, fissa come la mia anima.
Sento la pioggia su di me, il fradicio dei vestiti e del mio cuore triste. Gusto il salato delle lacrime che mi rigano il volto confondendosi con le stille che scendono dal cielo. Ancora una volta Dio mi salva e mi confonde.
“Basta!” mi dico. “Ho bisogno di una smossa, per questa sera ho lavorato abbastanza!”
A casa mi son fatto una doccia calda e ho messo il mio vestito nuovo, così per reagire al mio grigio stato d’animo. Destinazione biliardo dove ho fatto la figura più barbina nella mia vita di uomo di stecca. Non ne ho azzeccata una. Ho abbandonato la sala tra lo sguardo sorpreso e deluso degli amici. Una vera e propria “debacle”, come dicono i francesi.
Conforto
Sono a terra.
Andrò a trovar conforto dalla signora, si chiama anche lei Anna, guarda un po’ il destino, e fa la prostituta. La conosco da un mese e mi sembra una donna sensibile e intelligente. Mi trovo bene con lei. E’ anche colta e mi ha preso a cuore. In certi istanti sembra che culli la mia tristezza. Conosce il mio passato e stasera le racconterò il capitolo di oggi pomeriggio.
Sono sicuro che saprà consolarmi, faremo l’amore, mi leggerà qualche poesia, le piacciono Neruda e Garcia Lorca, e come il solito mi addormenterò, stanco e un po’ meno sconsolato nel rifugio delle sue calde cosce sperando che presto mi dica che mi ama.
E non mi lasci.
(G. Fassari 1993)
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