Il sorriso della cripta
Il sorriso della cripta-racconto di G. Fassari
Trovare lavoro in Sicilia in questi ultimi anni del XX secolo è quasi impossibile. Molti giovani emigrano alla ricerca di un futuro migliore.
Il protagonista di questa storia è Licio, cittadino di una grande città. Da anni è alla ricerca disperata di un lavoro per non cadere nella disperazione.
La vicenda comincia in un giorno di piena estate.
Il giovane venne convocato da Don Luigi, il parroco della chiesa del suo quartiere, dov’era cresciuto. Gli propose un’insolita possibilità: in un paesino a circa 60 km dalla città, c’era l’opportunità di un impiego, un po’ atipico per la verità: fare il custode per la cripta della chiesa madre.
Il parroco fu molto gentile e spiegò a Licio che il vecchio custode, dopo un lavoro trentennale, era andato in pensione e, anche se un po’ tetra, poteva essere una buona occasione per guadagnare. Licio si dimostrò piuttosto esitante per la verità ma non rifiutò la proposta a priori, e chiese al prete di poter fare prima una capatina nel paese della cripta per vedere il luogo dove avrebbe espletato il proprio lavoro.
Così di domenica mattina don Luigi e Licio partirono alla volta di Cavosa, un grazioso paesino arroccato tra basse colline al di sotto di aguzze montagne, dall’architettura medievale fatta di stradine e chiese, in mezzo a un’aspra campagna a vigneti e frutteti.
Era fine estate e la giornata era luminosa e bella. Il caldo era asfissiante.
Il paese
I due arrivarono in paese verso mezzogiorno.
La natura era rigogliosa, tutto era verde e le cicale cantavano ossessivamente. Tutti dovevano essere nelle case o sulle spiagge vicine, a vivere gli ultimi giorni della bella stagione, perché per strada non c’era anima viva tranne un signore attempato. Elegantemente vestito, si presentò come il responsabile del turismo al comune di Cavosa.
Il gruppetto arrivò nei pressi di un’alta chiesa dal profilo slanciato dotata di un bellissimo campanile; solo in alcune zone si presentava in condizioni precarie per diverse parti crollate; alcune statue, che decoravano la facciata esterna dell’edificio sacro, mancavano di braccia o piedi. Tutto presentava grande trascuratezza.
Con discrezione si avvicinò un prete, un certo Don Carlo, che fece brevemente gli onori di casa. Era un tipo poco curato, sudaticcio, con una barba incolta. Dopo aver stretto la mano a tutti indicò l’ingresso alla cripta. L’accesso era una botola sul pavimento che una volta aperta mostrò una ripida scala che scendeva nel buio. La percorsero e giunsero in una grande sala dalle pareti avorio e dall’alta volta ogivale. Fu accesa una luce fioca. Nelle nicchie e anfratti giacevano numerosi corpi coperti integralmente da lenzuola o vestiti di tonache dai colori sgargianti.
Licio teneva lo sguardo basso.
Don Carlo spiegò che vi era anche un secondo ingresso, più comodo, che veniva utilizzato per il pubblico e era fornito di una piccola biglietteria.
Nerina
Licio guardava con aria pensierosa l’ambiente. Lavorare lì avrebbe significato convivere ogni giorno con quel mondo silenzioso che richiama l’uomo a domande senza risposta. Era in grado di farlo con serenità? O avrebbe vissuto con inquietudine ogni giorno?
Quando tornò in città la sua mente era affollata da mille pensieri.
Combattuto nella scelta, pensava soprattutto alla madre e alla fidanzata.
Già, perché Licio era fidanzato da quindici anni con Nerina.
La conosceva fin da bambino e i suoi genitori l’apprezzavano al punto da insistere per il loro fidanzamento. Licio, per timidezza e forse per mancanza di meglio, aveva accettato la relazione ma non aveva mai nutrito sentimenti elevati nei confronti della fidanzata.
Il destino aveva scelto per lei un nome azzeccato vista la natura ombrosa e schiva della ragazza. Licio riteneva comunque giusto renderla partecipe su tutto dal momento che poteva diventare la sua sposa e quella scelta avrebbe potuto consentire alla coppia di convolare a nozze.
Solo che il giovane non era certo che questo fosse quanto lui desiderasse.
Temeva di sbagliare. Era una sua caratteristica quella di esitare davanti alle decisioni importanti e fino a quel momento la mancanza di un lavoro stabile lo aveva protetto nei confronti di quella scelta.
Sapeva benissimo che una volta sistemato non avrebbe più potuto dire no alla fidanzata e alla suocera.
Furono giorni difficili.
Luogo di lavoro
Prese il coraggio a due mani e decise di dire tutto a Nerina.
Mentre le parlava di questa opportunità, Nerina lo guardava negli occhi non esprimendo alcun tipo di emozione, come se la cosa non la riguardasse. Licio parlava delle sue perplessità, dell’inquietudine di dover lavorare in quel luogo dov’era quotidiana la presenza della morte, delle sue paure ma lei non batteva ciglio.
Avrebbe voluto che per una volta lei lo consigliasse nell’incertezza ma al solito la ragazza non si pronunciava e stava zitta. Avrebbe accettato con entusiasmo un incoraggiamento, un ok, o un “No Licio , non accettare…”, una qualunque presa di posizione com’era giusto dovesse fare una degna compagna.
Nulla. La realtà di sempre. Lei non si smentiva e taceva. In quindici anni non aveva mai preso una decisione, mai un sì o un no.
“Una completa accettazione di tutto o semplicemente mancanza di intelligenza?” talvolta si chiedeva Licio .
Dissertava a lungo invece con l’anziana madre.
“Vuoi diventare custode della cripta o rimanere disoccupato ma libero?” gli disse la madre per scuoterlo.
Poiché non conosceva nulla della storia della chiesa e dell’annessa cripta, cominciò a condurre delle ricerche e divorò il contenuto del dépliant turistico del sito e condusse delle indagini su Internet. Nonostante la sua pigrizia andò anche nella grande biblioteca della città per consultare qualcosa che riguardasse quei luoghi e quelle mummie con gli strani vestiti colorati.
La cripta era stata costruita agli inizi dell’ottocento sotto la chiesa. Al suo interno vi si trovava una quarantina di mummie per lo più appartenenti all’aristocrazia del paese con nobili, avvocati, preti, monaci, poeti, scienziati, magistrati e appena tre donne. Alcune erano tenute in nicchie, altre in urne e solo alcune, tra cui le tre donne, di recente erano state collocate all’interno di teche trasparenti. Un piccolo altare era presente per la celebrazione di messe in suffragio.

Imbalsamazione
“Non c’è rispetto…”
I corpi erano il risultato di un processo d’imbalsamazione che durava circa due mesi basato su una vera e propria essiccazione naturale dopo un trattamento con sale e aceto. Dopo l’eviscerazione, il corpo del defunto era portato nella cripta, dove avveniva, grazie alle correnti d’aria proprie dell’ambiente, un’essiccazione naturale.
Ottenuta la mummia, si rivestiva dei suoi abiti e la si metteva in mostra solennemente all’interno della cripta che era stata scoperta da una trentina d’anni ed era stato oggetto in più di un’occasione di atti di vandalismo da parte di ignoti che l’avevano danneggiata con spruzzi di vernice spray.
“In questo mondo, ormai, non c’è rispetto neanche per i morti!” pensò con tristezza Licio.
Tornò di nuovo a Cavosa e dedicò l’intera giornata all’osservazione attenta della cripta: la sua fantasia e la sua immaginazione vagavano libere.
Fu molto attratto dalla zona dove riposavano i corpi femminili; dovevano essere molto giovani, una targhetta parlava di tre probabili sorelle vissute un secolo prima. Una teca era vuota.
“Uniche donne in un silenzioso mondo di maschi” si disse tra sé.
Indagò per scoprire i nomi delle fanciulle.
Una era Catena, le altre due portavano nomi di colori: Celeste e Azzurra. Notò che i veli che indossavano erano di quei colori e tanto lunghi da coprire anche i piedi.
Provare
Licio accettò l’incarico per un periodo di prova.
Un giorno la fidanzata gli disse che voleva venire in paese per vedere il luogo dove lavorava il suo amore e una domenica che la cripta era chiusa, per piccoli lavori di restauro, giunse in pullman con la madre. Erano ben vestite come in un giorno di festa e Licio le accolse con gioia.
“Venite, venite, vi faccio vedere qualcosa d’interessante; la chiesa è molto antica ma la parte più interessante è quella che sta sotto…”
Scelte ardue
La luce fioca creava un’atmosfera inquietante e per certi versi tetra e la fidanzata mostrò subito di non gradire quell’ambiente, infatti d’improvviso impallidì; anche la madre dava segni di disagio.
“Sì, ora si è fatto tardi, abbiamo visto già abbastanza! È molto interessante ma, sai caro genero, io soffro di claustrofobia!” disse.
Licio accolse subito la richiesta implicita della madre di Nerina e velocemente i tre abbandonarono l’ambiente sotterraneo e risalirono in superficie. Fuori il sole era alto e la luce abbagliante.Il giovane accettò l’incarico.
I giorni passavano e Licio cominciava a sentirsi sempre meno con la fidanzata.
Il lavoro scorreva tranquillo.
Solo la sera sentiva montare un senso d’inquietudine; le paure s’ingigantivano quando era solo nella sua stanza e qualunque suono naturale che spezzasse il silenzio lo faceva sobbalzare.
Il cuore palpitava quando rifletteva sulla vacuità dell’esistenza.
“Un uomo vive, poi muore e si ritrova lì, nel silenzio eterno di una cripta, come se niente fosse stato. Come a dire Niente, abbiamo scherzato, adesso basta, i giochi sono finiti e mi riposo per sempre. Saluti!”
Cercava di non pensarci.
“Sono considerazioni stupide o forse, è meglio dire, inutili” diceva in sé. “Adesso grandi o piccoli, ricchi o poveri, tutti sono lì, immobili e muti, dentro quelle teche di finto vetro.”
Di notte nella sua piccola stanza, annessa alla chiesa, i suoni erano amplificati dalla solitudine: il canto lontano di un grillo diventava una voce assordante nell’oscurità. In particolare lo scoccare della mezzanotte lo inquietava alquanto per il suono della campana della chiesa. Lui l’avrebbe tolta ma il parroco non ne voleva sentire poiché, diceva “Richiama la gente al Signore!”
Il tempo peggiora
Si consolava pensando che era solo questione di abitudine e col tempo non avrebbe più avvertito quel fastidio, non l’avrebbe neanche più sentita.
La mamma da piccolo gli aveva insegnato che quando aveva paura doveva farsi il segno della croce e tutto sarebbe passato e Licio così faceva. Funzionava: i mostri sparivano d’incanto.
Le telefonate a Nerina divenivano sempre più rare e brevi e s’impoverivano sempre di più, della serie “Come va?”
Ma si può vivere in un paesino isolato senza contatti umani?
Licio c’era riuscito per sei mesi ma adesso sentiva l’esigenza di conoscere qualcuno. Nonostante i suoi sforzi, gli incontri con la gente del paese erano sempre fugaci e si limitavano a qualche parola scambiata su futili argomenti.
Quella sera Licio si trattenne più del solito nei locali della cripta per fare piccoli lavori di manutenzione.
Il cielo era plumbeo e grandi nuvoloni promettevano abbondante pioggia.
Cominciò a piovigginare. In pochi minuti il cielo divenne viola e minacciose nuvole nere scesero dalle montagne verso il paese. oscurando quasi totalmente la luce del sole. Fulmini e tuoni arricchirono la situazione meteo di Cavosa. In poco tempo le strette stradine e i vicoli si trasformarono in torrenti che scorrevano sempre più grandi; in corrispondenza delle numerose scalinate del paese si formarono impetuose cascate d’acqua.
Licio osservava dalla finestra.
La quantità di acqua e fango scendeva sempre più e lui era molto preoccupato per la cripta perché temeva che quella poltiglia fangosa la inondasse. Passò all’azione prendendo degli assi di legno che inchiodò a protezione delle vie d’ingresso dell’acqua alla cripta.
L’intervento fu efficace.
Il lamento di un’ombra
Si era fatto tardi, erano le 22.00 ma il tempo era migliorato.
Il livello dell’acqua per le strade era sceso e poteva lasciare la cripta per raggiungere la sua dimora.
Appena fuori dalla porta sentì un lamento; aguzzò vista e udito per comprenderne la provenienza. Non vedeva nulla eppure continuava a sentire dei gemiti. Dapprima pensò a un animale, un cane o un gatto, ferito o impaurito dal temporale. Poi vide un’ombra muoversi con lentezza in un angolo buio della strada. Ritornò a quand’era bambino e alle sue paure; nel buio allora non riusciva a muoversi per il timore delle ombre e degli esseri che, secondo lui, vivevano nell’oscurità.
“Sensazione infantile la paura. Però permane nell’adulto, probabilmente perché è utile” si disse con fermezza.
Ricordava la mamma che lo rassicurava… e si fece il segno della croce.
Muovendosi piano quasi come un cieco, portò in avanti le braccia e le mani e si introdusse nell’angolo buio. Sbatté contro qualcosa di viscido ed ebbe la sensazione di toccare qualcosa di sintetico, come un impermeabile.
C’era una fanciulla rannicchiata, infreddolita e tremante. Piangeva e i suoi singhiozzi lo colpirono molto. Licio comprese subito lo stato di sofferenza di quella sconosciuta. Senza esitazione la abbracciò e le disse di aspettarlo un attimo.
Si recò rapidamente nella zona della biglietteria e ne uscì con un vecchio cappotto. Lo mise addosso alla donna cercando di consolarla.
“Coraggio, il peggio è passato” le disse con dolcezza.”Il temporale è stato violento ma ora il tempo si metterà al meglio. Non ti preoccupare, ti aiuto io!”
Pensare
La giovane sembrò rilassarsi per un attimo, e cedette all’abbraccio di Licio quasi trovando un consolante rifugio nel suo petto.
“Tu lavori qui? Sei di qui? Non ti conosco! Ti ringrazio per l’aiuto; è stato tremendo, ho temuto di essere portata via dall’acqua; è successo altre volte in paese e qui era una fiumara che scendeva e portava via tutto!”.
Licio le spiegò il suo ruolo nel paese.
I due si salutarono e non si videro più per molto tempo ma quell’incontro era rimasto impresso nella memoria di Licio che quando pioveva, e quella era la stagione delle piogge, pensava a quella fanciulla, bagnata fradicia e disperata.
Non l’aveva più rivista anche se il paese era veramente piccolo e tutti si conoscevano. L’aveva cercata ma nessuno aveva saputo chi potesse essere.
Il ricordo era ancora intenso ma Licio cominciò a pensare, a convincersi, di aver visto un fantasma. E lui se ne intendeva perché ogni giorno viveva in un luogo di morti.
Una notte la sognò. LEGGI IL SORPRENDENTE FINALE